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Alda Merini nasce a primavera, quando Proserpina lieve spacca la tetra reggia di Ade e torna dalla madre, Cerere, abbandonando il freddo mondo degli inferi. Milano le dà i natali, la cresce. La metropoli meneghina è fin da subito marchiata a fuoco sulla sua pelle.

La casa di Milano è condivisa con due fratelli, Anna – la sorella maggiore ed Ezio, il fratello minore, l’affettuoso padre Nemo e l’arcigna madre Emilia. Il loro rapporto comparirà spesso ritratto nei versi dell’autrice, contornato dallo sfondo di Milano e dalle sue occasioni.

La città viveva  un periodo di vivacità culturale, soprattutto in ambito letterario, dove le occasioni si moltiplicano e la possibilità di farsi notare in ambito poetico è sempre più concreta. Milano culla la poetessa fra le sue luci soffuse e chiassose, nel freddo pungente dei suoi inverni e nell’afa delle sue estati e il sussurro segreto dei navigli pare aver ispirato e sussurrato più di un verso all’orecchio della poetessa orfica.  

Era la fine del 1948, e Alda Merini, che già poetava da molti anni, compose “Il gobbo“. Aveva solo diciassette anni. Milano le offriva la prima vera possibilità.

Nel 1950, nell’antologia Poesia italiana contemporanea 1909-1949, Spagnoletti
pubblicò due liriche meriniane: “Luce” e “Il gobbo“, appunto. L’anno successivo su consiglio di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani, Vanni Scheiwillerinserì le stesse due liriche nel volume Poetesse del Novecento. (“Alda Merini | La parentesi della scritturaSiti Xoom”)

Era il principio della sua carriera poetica, favorita dall’euforia letteraria dell’ambiente meneghino, dai suoi contatti e dalle sue possibilità.

Il legame della poetessa con la città dei navigli non si limita solamente all’infanzia e all’adolescenza, di fatti vivrà tutta la sua vita a Milano, salvo un breve periodo in cui si trasferirà a Taranto per seguire Michele Pierri, il suo secondo marito.

Le scelte di Alda Merini sono scelte d’amore, come quella di restare profondamente legata a Milano, fino al giorno della sua morte, venendo seppellita proprio al Cimitero Monumentale del capoluogo lombardo.

I suoi versi, vestiti della eco incantata con cui l’occhio attento e mistico osserva la città ambrosiana, ci restituiscono un’immagine ancor più magica:  Milano dai vorticosi pensieri / dove le mille allegrie / muoiono piangenti sul Naviglio ( Per Milano, Alda Merini )

Quelle stesse allegrie  accompagneranno la giovinezza e la maturità della poetessa e si spegneranno, in modo altrettanto cupo e piangente. È il 1947 e, per la prima volta, Milano mette Alda Merini di fronte ai propri spettri: è nella clinica di Villa Turro che le viene diagnosticato il disturbo bipolare. Vi rimarrà ricoverata per un mese, salvo ritrovare la luce poco dopo e abbandonarsi al piacere di nuovi incontri.

Quell’ancora nefasta e cupa che inizia a trascinare la sua vita dagli anni ’60, porta Alda Merini a vivere un rapporto più distaccato e meno cosciente con Milano. La città, che l’aveva coccolata e ispirata, diventa un luogo di perdizione mentale dove ombre troppo lunghe e violente si stagliano sui rilievi del Duomo. È il 1964 quando, proprio a Milano, viene internata per otto lunghi anni, in cui si alterneranno momenti di tormento e libertà. La sua mente si sfibra e sfalda, il disturbo bipolare incalza e negli attimi di lucidità, il genio di Alda Merini compone la sua raccolta più celebre e struggente: la Terra Santa.

Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere.

Le sue prime farfalle libere escono fuori nei momenti in cui, negli anni del ricovero, fa ritorno alla sua famiglia, proprio a Milano:  nascono Barbara e Simona, frutto del matrimonio con Ettore Carniti.

E così, dopo essere stata madre, forse un po’ matrigna, Milano è comunque lì ad attenderla, quando il suo internamento termina. Non solo la metropoli l’aspetta, ma la rilancia, e nel flusso sconfinato e meraviglioso della sua vitalità, fa sì che la Poesia della “libellula dei Navigli” raggiunga il grande pubblico.

Davide Avolio

 

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