Caccia allo Strega è una ricostruzione della direzione culturale e formale seguita dalla narrativa italiana contemporanea, condotta attraverso l’esplorazione dell’albo dei finalisti degli ultimi venti anni del più celebre premio letterario del nostro paese, il Premio Strega, qui assunto come osservatorio privilegiato, insieme laboratorio e pista di collaudo.

Uno sguardo panoramico, quello di Gianluigi Simonetti, da cui emerge una coerenza di fondo, in grado di rivelare cosa sia oggi per noi la letteratura e il romanzo in particolare, raccontando molto sui gusti e sulla cultura di un ideale “ceto medio” di lettori italiani contemporanei, e sull’attuale sistema delle arti, su cui il mercato e le nuove dinamiche della visibilità social e dell’“economia del prestigio” esercitano un peso crescente.
Una coerenza che rende possibile all’autore abbozzare addirittura le caratteristiche che deve avere il libro che aspiri alla famigerata cinquina, operazione che per contrasto reca in sé un monito importante:
“un bel romanzo viene sempre alla luce anche per contraddire, o integrare, qualsiasi attesa sclerotizzata e formula già pronta; per aprire prospettive di senso e di stile inaspettate”.

1. La direzione in cui si impegna con il saggio Caccia allo Strega è anche e forse soprattutto quella di considerare il Premio Strega e i romanzi che esso ha valorizzato negli ultimi anni come un terreno da indagare per riuscire a individuare e definire qualcosa di noi, “della nostra idea dell’arte, della nostra cultura, della nostra società”. Gli esiti di questo tipo di indagine generalmente tendono a collocarsi, o ad essere collocati, lungo il classico continuum delineato da Eco che vede agli antipodi la posizione dell’“apocalittico” e quella dell’“integrato”. Se volessimo continuare su questo schema, verso quale polo tenderebbero le conclusioni della sua ricerca?
Certamente non mi considero integrato, perché con Caccia allo Strega ho provato a fornire un punto di vista critico (nella duplice accezione di analitico e di eventualmente polemico) sulla funzione, la storia, le logiche dei premi letterari. I grandi premi si presentano come vetrina e bollino di qualità, io invece li ho studiati come luogo di convergenza tra tipi diversi di ricerca (anche inconscia): di forme, di prestigio, di visibilità e di successo commerciale. Però non mi sento neanche apocalittico: romanzi di valore continuano a essere scritti, e ogni tanto i premi letterari li intercettano e li valorizzano. Specialmente se soddisfano esigenze che non sono solo artistiche, ma anche per così dire sociologiche.
2. In Caccia allo Strega segnala come la critica tradizionalmente intesa, quella svolta da un lettore specialistico, analitico e impersonale, sia stata sostituita dall’“esperienza di lettura”, dominata da un filtro soggettivo, quello del lettore comune, interconnesso, viscerale, il cui punto di vista appare più sincero perché più emotivo e coinvolto. Con il risultato di un appiattimento del confronto critico sempre più verso il livello medio-basso. Questa spinta dai toni populisti o dal basso sviluppatasi sui social media sta colpendo e rischia di modificare anche il mondo della letteratura e del libro?
Sì, inevitabilmente, perché la letteratura al suo meglio è un linguaggio formalizzato e come tutti i linguaggi formalizzati richiede una certa competenza per essere pienamente decifrato. La progressiva emarginazione di una critica non solo sincera ma anche attrezzata, che sappia, voglia e possa decifrare stilisticamente un’opera (e non solo riassumerla o celebrarla) spinge ai margini proprio quelle opere letterarie che scommettono sulla forma e sulla moltiplicazione dei significati. Per la loro natura soggettiva e impressionista le “esperienze di lettura” oggi tanto di moda valorizzano soprattutto opere semplici, o dalla complessità apparente, che spingono sul pedale dell’emotività più che su quello della conoscenza profonda (senza contare che a metterle su carta o su schermo, queste esperienze, sono sempre più spesso altri scrittori, che per comprensibili ragioni corporative non hanno nessuna voglia di danneggiarsi tra loro).
La crisi della critica specialistica non significa quindi la fine di tutta la letteratura, ma certo contribuisce a emarginare un certo tipo di letteratura: quella più esigente, coraggiosa e complicata. Che continua a esistere, ma sta diventando un prodotto di nicchia.
3. Nell’analizzare i romanzi italiani contemporanei, nota come in molti di questi la bellezza non sia che un mero segmento che sembra bastare a se stesso, un’intuizione brillante ma precaria e isolata, come un buon incipit che però non fa da sé romanzo, in “lotta disperata contro una disattenzione standard”. Il livello di disattenzione del lettore interconnesso è diventato cronico e oggetto di studi antropologici dopo l’avvento dei social media. Ma nel mondo letterario italiano ci si lamenta da decenni di un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Crede che le istituzioni culturali e letterarie, come il Premio Strega ma non solo, dovrebbero avere un ruolo più attivo nel tentare di sanare questa deformazione del mercato?
Non penso che sia compito dei premi letterari sanare quelle che lei chiama «deformazioni del mercato». Anche perché dubito che le considerino deformazioni – semmai condizioni, o leggi, di cui tener conto. In realtà i premi più prestigiosi – e quindi lo Strega in particolare – lavorano in dialogo col mercato: non lo seguono passivamente, né lo avversano in modo frontale – direi che collaborano nella ricerca di un certo tipo di un romanzo che soddisfi sia un bisogno generalizzato di intrattenimento, sia un’esigenza di artisticità (e sempre più spesso di pedagogia, di identità, di valori). Può capitare che questa ricerca s’imbatta in un bel romanzo, capace di appagare queste esigenze; ma direi che più spesso ad essere premiato è il compromesso in sé.
Questo compromesso tra artisticità e mercato viene comunicato, e venduto, come letteratura di serie A: vincere un premio serve in fondo a questo, a conquistare presso i lettori e gli addetti ai lavori autorevolezza e prestigio. Però non di rado i romanzi premiati, sul piano formale, funzionano invece come opere di serie B. Tipico dell’arte di genere (che storicamente è associata alla serie B: il cinema di genere i francesi lo chiamano appunto cinemabis) non è infatti la bruttezza, ma la tendenza a offrire una bellezza solo intermittente, con qualcosa che funziona bene in mezzo a tante cose che invece non funzionano. Pensate a certi film horror, o d’azione, o a certe commedie, che s’illuminano solo a tratti, che sono (e ammettono di essere) disorganiche e incoerenti. Ecco: pur amando alcuni film o libri di genere, ho l’impressione che ci stiamo un po’ tutti abituando a considerare di serie A opere letterarie che sono in realtà, per i motivi che ho detto, di serie B. E ne deduco che nei nostri consumi culturali stiamo imparando, senza accorgercene, ad accontentarci di poco.
4. A vedere i 12 libri finalisti dell’edizione del Premio Strega 2023 dopo aver letto il suo saggio, è stato agevole confrontare e confermare la cospicua presenza di quegli elementi narrativi e stilistici che il saggio individua come più ricorrenti nei “romanzi-Strega” degli ultimi anni. C’è qualcosa che invece l’ha stupita di questa dozzina?
Non ho ancora terminato la lettura dei libri in dozzina. Per adesso mi colpisce la grande omogeneità di temi (e, a quel che sto vedendo, anche di stile) fra molti di questi romanzi. Su un altro piano poi mi colpisce che uno di questi, Mi limitavo ad amare te, di Rosella Postorino – l’ho appena terminato di leggere – squaderni una specie di collezione di motivi, personaggi, registri e strutture che vanno attualmente di moda: all’incrocio fra attenzione al vasto pubblico e esibizione di artisticità e impegno civile. Ecco un’opera davvero esemplare di quello che oggi comunemente s’intende per ‘romanzo da premio’.
ISBN 9791254800065 Data di pubblicazione: 21-04-2023
N. Pagine: 184 Formato libro: 14×20 cm