«Cerca di scrivere del pensiero ossessivo nel pochissimo tempo lasciatogli libero dal pensiero ossessivo»
Interno Poesia pubblica Il Pensiero Perverso di Ottiero Ottieri, un testo paradigmatico della poesia di secondo Novecento, edito per la prima volta nel 1971 da Bompiani.

Nato nel 1924 e morto nel 2002, Ottiero Ottieri ha rappresentato una delle tante figure asistematiche – e perciò rappresentative- del Novecento letterario italiano. Ma non dobbiamo pensare a Ottieri come ad un autore sommerso perché editorialmente è presente, tra Guanda, Einaudi e Utopia[1].
Questa edizione, pubblicata nella collana Interno Novecento, si pone come filologica e interpretativa di fronte ad alcuni aspetti ritenuti chiave, come le originali pagine bianche e il significato “patologico” del verso di Ottieri.
Demetrio Marra, curatore dell’opera, scrive a proposito:
Il pensiero ha un ritmo sussultorio, che si avverte soprattutto vicino all’epicentro del sisma-episodio; l’ondulazione verticale troverebbe così un suo correlativo orizzontale nel verso. Come dei tempi geomorfologici è impossibile capire la ratio così nei tempi della cognizione. Anche perché ogni cosa viene investita dal “dubbio”, instancabile: caratteristica del pensiero ossessivo è non potersi distrarre mai. […]
La poesia di Ottieri è uno strumento prezioso per comprendere quale sia il dispositivo del potere dietro all’esperienze nel mondo contemporaneo: un’interpellazione permanente. Una costante dinamica relazionale dove il relais, come direbbe Glissant, si muove tra architetture complesse del nostro immaginario e schemi ripetitivi di una condizione meccanica, alienante, che replica i ritmi della fabbrica.
Edoardo Albinati, nella sua postfazione, si domanda, nella prima fra le sue Dieci ipotesi su Ottieri, se ci troviamo di fronte «un caso clinico o un caso letterario»[2]. E se Pasolini, negli stessi anni, scrive: «Sono sano, come vuoi tu, / la nevrosi mi ramifica accanto/ l’esaurimento mi inaridisce/ ma non mi ha», l’intuizione di Ottieri, invece, è che il pensiero ossessivo sia sempre presente, e allora ne indaga i meccanismi metacognitivi. Mostra, come scrive Marra, che “l’ansioso […] vive in una sorta di nebbia cognitiva che non è annebbiamento, ma un’intensificazione della percezione[3].
I versi singhiozzanti, ansiosi e ansiogeni si fanno spazio tra le ansie della depressione mai latente, («l’ansietà del vivere gli impedisce di scrivere», p. 37). La tensione che segna la riflessione di Ottieri è la stessa su qualunque argomento, dove il contenuto è inglobato dalla forma e un’istancabile odio-paura-parodia dello stato di cose presentate – o a volte, pare, il dovere dell’odio – ingaggia in lui un’inesausta corsa contro la vita quotidiana.
Come rileva Albinati, “la nevrosi di Ottieri è in verità sempre estroversa, estroflessa, famelica, in caccia di interlocutori, di sponde su cui far rimbalzare colpi sbilenchi, partiti per errore”[4]
È una poesia che tende ad esplicitare i lapsus, a mettere a nudo geometrie irreali, a rincorrere il riflesso del proprio malessere allo specchio, osservandone le palinodie, gli smottamenti, le schizofrenie come effetti della nuova civiltà massificata, del comportamento coatto del potere dei consumi.
L’autore comunica la realtà negativa del proprio stato, di un modo d’essere succube e complice del pensiero ossessivo, e lo fa con una poesia dove essere e parola necessariamente devono coincidere così da seguire il ritmo, o nenia che centra il punto. Così vediamo Ottieri venirci incontro, con un canto prosaico e profetico che parla dritto ai nostri tempi.
Cerca di scrivere del pensiero ossessivo nel pochissimo tempo
lasciatogli libero dal pensiero ossessivo.
Cerca di scrivere del pensiero ossessivo nel pochissimo tempo.
Non lavora, non esce, non mangia,
all’infinito perfeziona la tessitura d’aria
con un’aderenza perfetta
schiacciata incollata alla cerebrale
spoletta. Schifiltosità disperata
verso ogni dolce contaminazione,
non guarda, non tosse, immobile e puro
sfuggendo la pena che avvampa
dopo il barlume d’una distrazione. Se si accantona, se schiaccia
la molla del dubbio, scatta
più forte, il velo opaco che era
nella scatola della testa
si indurisce, il dubbio marrone
scuro picchia da sinistra e da destra.
Sensazionale è nel letto la notte dello scoppio
(precedente per l’obbligo
real mentale
la scelta obbligatoria). È bianca,
lunga, corta, morta,
piena di pantere e di germi,
precipita, ferma sbarra gli occhi al traguardo.
Si sbatte, arranca, fila.
Fruga prevede cieca
nella visione storta
del mattino,
se sceglie si condanna,
la non scelta è dannata.
Scrive del pensiero ossessivo nel pochissimo tempo
roso, dal margine sfilacciato e breve:
impegnata, tesa è la testa nella notte,
inutile il corpo, l’istinto morto,
e misterioso, il buio
istinto del cervello trivella
l’aria e il tempo. Acrobatico cervello
esteso fino allo stiramento
della carnale propria ineffabile
estensività per toccare la cosa
assente
la cosa
opposta. È vicino
il mattino e più soffia vicino
più la spoletta urge e s’avventa
nella testa, meno la mesta
rassegnazione imbalsama la festa del dubbio.
Dà questo dubbio finali squilli,
cunei di ghisa, enormi spilli.
Tesa è la notte ossessiva mentre il resto
del mondo riposa, tesa e non si rompe:
il tempo invincibile gomma,
il tempo che come il dubbio
pompa il pensiero nero.
Continua la notte illuminata
dalla fiamma ossidrica della
mente tramortita e accesa.
La scadenza, l’alba
fende l’esistente.
Nudo il cervello si muove e sposta coi sussulti,
le esplorazioni da faro dell’ossessione impaziente,
perché la gente aspetta. Non può aspettare la gente
il figlio del travaglio
mongoloide forgiato dal maglio
che fora il tubo di ferro e d’aria.
Troppo corta è sempre la notte
per il pensiero ossessivo, di natura
infinito. Il pensiero
ossessivo pensa sempre più dentro
e sempre più fuori del mondo
perché la decisione interiore
Collana: Interno Novecento
ISBN: 978-88-85583-80-1
Data di pubblicazione: 18 novembre 2022
Pagine: 192
Formato: 13×19 cm qui il libro
[1] Qui una presentazione in cui il curatore, Demetrio Marra, approfondisce questo aspetto.
[2] 5 Edoardo Albinati, Dieci ipotesi su Ottieri, in Ottiero Ottieri, il Pensiero perverso , op. cit. p.155.