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La storia del MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz – inizia negli anni Ottanta, quando la fabbrica Fiorucci decide di smantellare gli stabilimenti e di spostare la sede nella campagna laziale. Il complesso viene occupato più di vent’anni dopo, nel 2009, da oltre duecento persone tra migranti, famiglie senza casa e precari. L’idea di far entrare l’arte in questo complesso, però, nasce solo tre anni dopo, quando si inizia a pensare l’arte come una sorta di scudo, di protezione, dalla minaccia sempre più pressante di uno smantellamento dell’intero complesso abitativo.

Nel 2012, da un’idea di Giorgio De Finis, gli abitanti insieme ad artisti, architetti, antropologi, astronauti e studiosi danno vita al progetto Space Metropoliz, una sorta di gioco situazionista con cui si decide di partire per la Luna con il sogno di fondare una società più inclusiva, “capace di costruire, a partire dalla logica del dono, uno spazio comune”.
Costruiscono un razzo, provano le tute spaziali, si allenano a camminare su un terreno simile a quello lunare: l’intero progetto viene poi documentato a cura del film-maker Fabrizio Boni e da Giorgio De Finis, ed oggi è fruibile gratuitamente su diverse piattaforme.
A dare il via al cantiere è l’artista romano Gian Maria Tosatti che decide di costruire, con mezzi e i materiali più vari, e installare, insieme agli abitanti, un enorme cannocchiale che ancora oggi si trova sul tetto del complesso. L’idea è quella di poter controllare la luna, meta del viaggio, e di poter sperare in un Altrove utopico.
Nel corso dell’esperienza di Metropoliz saranno moltissimi gli artisti a intervenire, come Lucamaleonte, Sten & Lex, Alice Pasquini, Eduardo Kobra, Carlos Atoche e molti altri. Oggi il MAAM ospita una collezione di circa 600 opere ed è visitabile ogni sabato, durante il quale vengono offerte anche delle visite, guidate e gratuite, che permettono di esplorare il primo museo abitato del mondo.

Dal momento che gli abitanti di Metropoliz convivono queste numerosissime opere sono direttamente coinvolti nella selezione delle opere e artisti invitati a partecipare a questo progetto, nonostante esista un comitato e una direzione artistica affidata a Giorgio De Finis.
Anche agli artisti è richiesta una partecipazione attiva: è affidata loro la conservazione e il restauro delle opere, il cui soggetto è spesso strettamente collegato al luogo e alla vita che lo anima. Ad esempio l’area ludica, interamente dedicata ai bambini, è decorata da artisti e artiste come Alice Pasquini, Antonio Tropiano e Pino Volpino, o come l’opera “Cappella Porcina – eMAAMcipazione” di Pablo Mesa Cappella e Gonzalo Orquín in cui l’iconografia collega l’iter dei maiali nell’ex salumificio al processo di emancipazione che gli abitanti di Metropoliz riescono a compiere grazie alla possibilità di avere un posto in cui vivere.

Proprio per il fatto di essere il primo museo abitativo della storia, nel 2021 il MAAM annuncia pubblicamente la propria autocandidatura all’UNESCO, tramite la campagna “NUNESCO”, per essere riconosciuto come bene immateriale, patrimonio dell’umanità. Infatti, in base all’art. 2 della Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata nel 2003 dall’Unesco e ratificata dall’Italia nel 2007, “per ‘patrimonio culturale immateriale’ s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”, quindi non è solo in virtù del consistente patrimonio artistico che il MAAM viene candidato ad essere ritenuto patrimonio dell’umanità, ma è per aver fuso l’arte e l’abitare, restituendo “l’immagine utopica e concreta di una possibile città diversa, inclusiva, plurale, equa, autogestita e di un’arte sociale, generosa, relazionale, capace di costruire, a partire dalla logica del dono, uno spazio del comune.”