Skip to main content

a cura di Alessandra Corbetta

Se noi oggi volessimo provare a capire quale rapporto leghi la poesia al paesaggio e cosa la poesia, per la lettura e l’interpretazione del concetto stesso di paesaggio, possa fare, dobbiamo anzitutto partire da un tentativo ridefinitorio del termine, rispolverando il fatto che la rivoluzione digitale, iniziata decenni fa e tutt’ora in corso, oltre ad avere indotto profonde modificazioni all’interno della nostra dimensione quotidiana, ha anche inciso significativamente sulla coniazione di nuove parole e sulla necessità di risemantizzazione di altre.

Partendo da una prospettiva sociologica, il paesaggio è definibile come il punto di vista del soggetto sull’ambiente che lo circonda e cioè sull’ambiente che viene abitato; il paesaggio, dunque, nasce nel momento in cui c’è una forma espressiva in grado di rappresentarlo: in altre parole, non esiste paesaggio senza medium ovvero senza uno strumento che accorpa mitologie, credenze e valori legati a quel territorio e che è in grado di darne una forma strutturata. A tale proposito, è possibile prendere in considerazione l’art.1 della Convenzione Europea del Paesaggio che, nel definirlo, dice: «Il paesaggio è una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.».

Franco Farinelli sostiene che il paesaggio non si compone di cose, bensì è lo sguardo che i soggetti hanno su queste cose e la rappresentazione che di esse viene fatta nel mondo; il geografo Eugenio Turri afferma, a riguardo, cheilpaesaggio sta al di sopra degli individui, agendo come un’entità e in qualità appunto di rappresentazione, caratterizzata come segue:

  • la rappresentazione paesaggistica non può essere relegata al solo ambito della parole, con riferimento alla terminologia saussuriana, ma deve essere declinata in quello della langue, poiché occorre sempre fare riferimento a una struttura socialmente condivisa e universalmente accettata, o quantomeno riconosciuta come tale all’interno di un gruppo;
  • la rappresentazione paesaggistica ha bisogno di uno strumento per concretizzarsi e tale strumento non è mai neutro, come sostenuto dalla celeberrima teoria mcluhaniana secondo cui «il medium è il messaggio»;
  • la rappresentazione paesaggistica è anzitutto una questione di sguardo e, dunque, non esiste paesaggio senza un occhio che lo guardi, poiché la concretizzazione del concetto di paesaggio determina necessariamente una convergenza tra active e passive vision: accanto a una ricezione passiva dello stimolo fisico-ottico, esiste una costruzione attiva che co-determina il paesaggio così come viene percepito. In altre parole, accanto a un homo faber che agisce sul paesaggio, si pone un homo figurans, che su quello stesso paesaggio riflette e trae il proprio modo di osservare e abitare il paesaggio medesimo.

Per comprendere meglio l’esistenza di questo rapporto costantemente duale tra osservato e osservatore, sono utili le parole del filosofo Luciano Floridi, il quale ribadisce che «le tecnologie digitali non sono soltanto strumenti che si limitano a modificare il modo con cui interagiamo con il mondo; sono soprattutto sistemi che danno forma e influenzano sempre di più il modo con cui comprendiamo il mondo e ci rapportiamo a esso, così come il modo con cui concepiamo noi stessi e interagiamo anche noi.».

Ancora Eugenio Turri ricorda che il paesaggio è un iperteatro esistente nella dimensione dell’onlife, dove la barriera tra online e offline non è più presente; dunque, se si vuole parlare di paesaggio, è doveroso tracciare una nuova geografia che congiunga l’idea di luogo a quella di spazio e che presenti la sostanza della virtualità, non più da intendersi, come tra gli altri sosteneva Nicholas Mirzoeff, in qualità di de-realizzazione bensì, ponendosi in linea di continuità con quanto affermato da Pierre Levy, come una mancata attualizzazione del reale, di cui è comunque componente costitutiva e che porta anche Simone Arcagni a sostenere che il virtuale è un doppio visivo, ovvero uno spazio accanto al reale e ugualmente abitabile.

In un ecosistema così modificato la poesia può diventare linguaggio atto a chiamare questo tipo di cambiamento, capace di subentrare, insieme ad altre arti e ad altre discipline, per svolgere un lavoro di ri-mappatura e quindi, in accordo con quanto sostenuto da Alberto Salarelli, può aiutarci a comprendere che questa realtà paesaggistica non è più uno sfondo ma parte integrante della realtà stessa, elemento co-determinante del nostro abitato.

Già Giovanni Raboni, in Autoritratto 1977, scrive:

Quello che ricordo, invece, è di aver guardato altri ragazzi giocare. Erano giochi deliziosi. Quella finestra è, sicuramente, uno dei luoghi, o meglio delle situazioni, che mi hanno spinto a voler essere un poeta, a voler scrivere delle poesie. Per molto tempo ho pensato che una poesia dovesse essere come quella finestra. Mi sembrava che una poesia fosse un vetro attraverso il quale si potevano vedere molte cose – forse, tutte le cose; però un vetro, e il fatto che il vetro fosse trasparente non era più importante del fatto che il vetro stesse in mezzo, che mi isolasse, mi difendesse. I giochi erano al di là del vetro, mentre io ero al di qua. Credo che non riuscirò mai a far capire la straordinaria delizia di questa situazione. Quello che è certo, comunque, è che quando ho cominciato a scrivere poesie la mia più grande aspirazione era di ritrovare quel tipo di delizia o, se si vuole, di privilegio. Di ogni poesia avrei voluto fare un osservatorio difesissimo e trasparente, un osservatorio per guardare la vita – cioè, forse, per non viverla

dando testimonianza di cosa possa essere il paesaggio e di come sia necessario che l’arte della parola per eccellenza sia chiamata, di nuovo, a dare nomi esatti alle cose.

Alessandra Corbetta

Fonti

Butler, D. (2006). Virtual Globes: the Web-wide World. Nature, 439, 776-78. doi:10.1038/439776a.

Farinelli, F. (1991). L’arguzia del paesaggio. Casabella, 55, 10-12.

Farinelli, F. (2003). Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo. Einaudi.

Farinelli, F. (2007). L’invenzione della Terra. Sellerio.

Floridi, L. (2017). La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo. Raffaello Cortina (Opera originale 2014).

Floridi, L. (2020). Pensare l’infosfera: la filosofia come design concettuale. Raffaello Cortina. (Opera originale 2019).

Lévy, P. (1997). Il virtuale. Raffaello Cortina. (Opera originale 1995).

Salarelli, A. (2022). In DIGITCULT -7:1(2022), pp. 79-96. [10.36158/97888929552577]

Turri, E. (1974). Antropologia del paesaggio. Edizioni di Comunità.

Turri, E. (1979). Semiologia del paesaggio italiano. Longanesi.

Turri, E. (1998). Il paesaggio come teatro. Marsilio.

Turri, E. (2000). Sul senso di una semiologia del paesaggio. In P. Castelnovi (Ed.), Il senso del paesaggio (pp. 157-63). IRES.

Leave a Reply