giòco [lat. iŏcus «scherzo, burla», poi «gioco»] Qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive.
Riparte un nuovo mese per Palin e un nuovo tema.
Prima di aprire questa nuova piattaforma, ci siamo posti da subito una domanda, così come accade quando stai oltrepassando una soglia per entrare in una casa più grande: il gioco vale la candela? E istintivamente, senza pensarci, ci siamo detti di no. Non lo vale.
Perché giochiamo allora? Forse perché chiunque partecipa ha la speranza di vincere; così viene spiegata la dipendenza da slot, grattaevinci, scommesse e tutto il gioco d’azzardo, statistiche e matematica certe a parte: è automatico pensare di potercela fare. Vale così anche con un progetto: è una reazione inconscia e forse innata quella della sopravvivenza delle proprie idee.
Il fatto è che fare cultura in Italia è davvero difficile. In maniera paradossale non ci sono opportunità lavorative o investimenti significativi proprio nel settore in cui bisognerebbbe maggiormente investire o valorizzare: solo il 21% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. Ampia distanza dagli altri paesi europei anche nella quota di popolazione con almeno un diploma (62,9% contro 79,0% nell’Ue27).
Come progetto di divulgazione, in quasi tre anni, abbiamo percorso diverse strade: dal crowdfunding alla vendita, dall’online al cartaceo, sei riviste digitali e una fisica, eventi in librerie e festival sul territorio; chilometri macinati, treni presi presto, tratte di bus infinite. Devi essere portato da una strana follia o autolesionismo per investire nella cultura, ci dicono.
Ci siamo ritrovati a pensare che fare cultura in Italia è un pò come organizzare i mondiali in Qatar. Possono godere dell’esperienza solo determinati tipi di persone e, oltre a essere sfruttati/pagati nulla (paragone al Qatar iperbolico [ovviamente]); ciò che spesso si crea sono piccole oasi o casette nel deserto, dedicate a pochi pellegrini; aperti per la bolla e gli amici degli amici con un mercato sempre più drogato che accetta a scatola chiusa.
Ma, in quasi tre anni, abbiamo anche incontrato tante belle persone, giovani e meno, che avevano negli occhi una fiamma che riconoscevamo come parte di una stessa specie. E si crea un incredibile equilibrio che fa come tremare quando ci riconosciamo tra persone lontane ma con voci interiori simili.
Oggi, le città tendono a venire viste come immense wunderkammer, dal sapere enciclopedico e dell’utopistica ambizione di raccogliere in uno stesso luogo tutto ciò di cui vale realmente la pena fare esperienza; dove ogni manifestazione viene più o meno indistintamente considerata rilevante, ricercata, autentica. L’hinterland e la provincia, il paesino, sembra svanire nell’ombra, accecato dalle luci di città luna park che catalizzano risorse, energie e attenzioni bombardandoci di iper-stimolazioni e facendo terra bruciata attorno a sé.
La nostra direzione, nel tempo, vuole essere questa: è possibile fare cultura fuori dai grossi centri urbani? In passato abbiamo cercato di riflettere sui concetti di marginalità e sopravvivenza, sul significato di sentirsi ‘punk’ nel posto sbagliato.
Questa casa, allora, ci siamo detti, vuole essere la casa un po’ di tutti. Di tutta la cultura che non arriva, che ha difficoltà nel fare rete. Basta unire i puntini per creare una rotta su cui viaggiare insieme.
Giocare nella stessa squadra.