Una raccolta divisa fra Iraq ed Italia, che raccoglie la sfida di amalgamare tradizioni e stili letterari diversi. La vita non è una fossa comune di Gassid Mohammed, edito da L’Ercolaio, si rivela un passo importante, e coraggioso. Un lavoro vitale che nella sua commistione culturale cerca di conservare e di esporre una reale connessione tra individuo e forme letterarie, le quali si rivelano in rapporto dialogico: gli stilemi arabi leggono quelli italiani, quelli italiani leggono quelli arabi.
Non solo stili sovrapposti, ma una mappatura della morte, della violenza, dell’osservazione implicita e del dovere di riportarla agli occhi del prossimo; evidenziarne la dinamica relazionale.
Gassid Mohammed Hossein Hoseini è nato a Babilonia, iraq,
Scrittore, poeta e traduttore iracheno nato a Babilonia nel 1981; dopo la laurea quadriennale a Baghdad continua gli studi a Bologna. Nel 2011 conclude la magistrale in Italianistica, per poi conseguire il dottorato nel 2015.
Attualmente vive a Bologna ed è docente di lingua araba all’Università di Bologna e all’Università di Macerata.
I suoi testi sono apparsi su diverse riviste cartacee e online, e in diverse antologie. Tra le sue traduzioni dall’italiano all’arabo ha tradotto: Il corsaro nero di Emilio Salgari (Al Mutawassit), La bella estate di Cesare Pavese (Al Mutawassit), Senilità di Italo Svevo (Waraq), dall’arabo all’italiano ha tradotto: Le istruzione sono all’interno di Ashraf Fayad (Terra D’Ulivi), Marsa Fatima di Haji Jabir e Una barca per Lesbo di Nouri al Jarrah


– La poesia è un transfer, un tramite linguistico che cerca corrispondenza. A volte, quando parte da lontano, arrivano ‘echi di porti lontani, migliori perché stranieri’ scriveva Emily Dickinson. Da dove parte ‘La vita non è una fossa comune’?
– Da molto lontano: da Babilonia, Iraq. Così mi verrebbe da rispondere. Ma forse da molto vicino: dal mio essere. Eppure, quando penso al mio essere, non so collocarlo, né nel tempo né nello spazio.
Ci sono tre sezioni nella raccolta, forse neanche pensate, ma forse è il mio inconscio che le ha dettate: la prima è dedicata all’Iraq, il mio paese natale. La seconda all’Italia, il paese che mi accoglie. Mentre la terza è personale, dedicata al mio essere, quello che non abita se non nell’immaginazione. È dunque una specie di viaggio, nello spazio e nel tempo, ma sono spazio e tempo miei, non del mondo, anche se hanno una vera corrispondenza nel mondo reale. È un viaggio che porta con sé, come dice Dickinson, echi lontane, ma non so se sono migliori. Sono echi di un vissuto atroce e doloroso, che cerco di scaricare con le poesie, e, possibilmente, liberarmene.
Se la raccolta parte da lontano, il suo approdo è molto vicino: l’Italia, Bologna. Tra Babilonia e Bologna ci sono io, i miei sentimenti, il mio vissuto e le mie esperienza. In questo spazio, che è vero e non vero, e in un dato lasso di tempo, anch’esso può essere realtà o sogno, sono nate queste poesie, sono maturate. Mi capita di sognare Babilonia, mentre sono a Bologna, e mi capita di sognare Bologna, quando sono a Babilonia. Tra questi due sogni nasce la mia poesia.
– Il tema della morte e dell’osservazione, quasi cronistica, della vita, sono due perni portanti della raccolta, e spessi resi attraverso la rivitalizzazione di schemi della poesia del Novecento europeo. Che direzione ha voluto seguire e quali sono, a suo giudizio, autrici o autori che considera importanti in questo senso.
– La vita è un mistero, ma la morte è il mistero sei misteri. Non credo ci sia nessun poeta che non abbia trattato la morte, nel suo essere misterioso. La morte e ciò che esiste dopo è l’ossessione dei poeti. Mi sembra superfluo citare nomi.
Nell’epopea di poesia più antica del mondo “L’epopea di Gilgamesh”(e anche qui parliamo di Babilonia) si tratta questo tema. Quando il serpente ruba la pianta dell’eternità, o dell’immortalità, a Gilgamesh, lui si rende conto che l’immortalità risiede nelle buone azioni. È un messaggio umano. Artisticamente parlando, le buone azioni dei poeti sono le loro poesie. Scrivere poesie è, di per sé, un atto di resistenza, nella vita e contro la morte.
Nella mia raccolta tratto spesso la morte non tanto nella sua misteriosità, ma nella sua crudeltà. È un risultato della crudeltà umana, come fare le guerre. E anche su questo tema hanno scritto molti poeti europei, soprattutto durante le due grandi guerre. Non è facile sfuggire a quello che viviamo, siamo figli delle nostre epoche storiche. E quello che ho visto e vissuto in Iraq, di guerre, morte e crudeltà umana, ha avuto una grande influenza sulla mia produzione artistica, in poesia e in prosa. Mi sembra molto normale. Possiamo mai chiederci perché Sciascia scrive di Mafia, o Saviano di Camorra?
– ‘Doppia coscienza’ e ‘Linea del colore’, sono due categorie utilizzate per indicare come il potere istituisca specifici confini: una linea globale. Sembra, però, che attorno a quelle stesse linee di confine, si possano costituire delle soggettività per così dire ‘nuova’, tanto sul punto della produzione cultural che dal punto di vista politico. Cosa ne pensa al riguardo?
– Se vogliamo differenziarci dagli altri, ci sono mille scuse: colore, appartenenza, religione, origini, lingue, culture ecc. Tutti questi elementi, come anche identità, patria, nazione ecc. sono concetti positivi quando ti identificano, negativi quando diventano limite e ostacolo verso l’altro. Questo serve al potere per imporsi, per cui i politici cercano sempre di nutrire questi sentimenti, in qualsiasi parte del mondo.
Io mi auguro che gli elementi che creano la diversità non spariscano, ma al tempo stesso spero che si smetta di utilizzare tali elementi per creare differenza. Il mondo è bello perché è pieno di diversità: culturale, linguistica, artistica ecc. sono modi di vivere, modi di capire la vita. Un mondo in cui c’è una sola cultura e un solo modo di vivere, è un mondo in cui io non vorrei mai vivere.
Questa diversità ci dà la possibilità di scegliere, e di creare una cultura “nuova”, ma non è uguale per tutti. È una specie di soggettività molto personale. A misura di ciascuno di noi. Restiamo dunque diversi. Chi si soddisfa dell’unico colore della propria cultura, ignora la bellezza dell’arcobaleno.
Personalmente credo, o almeno spero, di avere una soggettività e una cultura “nuove”. La mia permanenza in Italia mi ha permesso di essere al di fuori della mia cultura, e dunque guardarla con occhi diversi, valutare gli elementi negativi e quelli positivi. Al tempo stesso sono collocato al di fuori della cultura italiana (occidentale), guardarla pure da fuori, valutare gli elementi negativi e quelli positivi. Questo per me è stato fondamentale, a livello personale e culturale, e anche a livello d’identità. La mia identità adesso è mia e basta. Condivido molte cose con i miei connazionali, ma condivido altrettante cose con chiunque al mondo. al tempo stesso non sono identico a nessuno, oltre a me stesso.
Il pessimismo di fondo, ontologico e non giudicante, è un elemento della raccolta. Lo sguardo dell’io lirico è quasi quello del cronista, a volte, intento a conservare la memoria di questo spazio comune. Proprio spazio, questo mese, è il tema di Palin. Può darci una definizione di questo nostro spazio, oggi?
– La nostra vita, noi umani, è un complesso di contraddizioni, ossimori e figure retoriche. La poesia è a immagine e somiglianza della nostra vita. Per cui possiamo dire che lo spazio è infinito, come possiamo dire che lo spazio è minuscolo, un buco. Un tempo poeti come Omero, Virgilio, Dante e molti altri, facevano viaggio in mondi lontani e sconosciuti, o addirittura nell’oltre mondo. Lo facevano con l’immaginazione, per cui possiamo evincere che lo spazio immaginario è infinito. Ecco, solo chi non ha immaginazione può pensare di essere in uno spazio limitato.
Lo spazio minuscolo, come un buco, è invece lo spazio della nostra realtà. Oggi, più che mai, ci rendiamo conto di vivere in una scatola, che chiamiamo mondo. Un esempio dal vivo: facile. Un invisibile virus vola in una città nell’Estremo Oriente, ovvio che parlo della Cina, mette tutto il mondo in ginocchio. Città fantasma, strade vuote. Uno starnuto a Wuhan si è diffuso in un batter di ciglio in tutta la scatola/mondo. Per cui qualsiasi cosa succede in qualunque parte del mondo, ha effetti su tutto il resto. Se qualcuno crede di vivere lontano dai guai, solo perché ha un concetto storto dello spazio, non è altro che uno sciocco. Vediamo chiaramente l’effetto delle guerre e dei disastri che succedono in paesi molto lontani, come cambiano la demografia del mondo, e come trasformano le società. Questo perché il nostro spazio (mondo) non è infinito, ma è una piccola scatola. Solo uno sciocco crede che il territorio in cui vive sia tutto il mondo, e che oltre a esso ci siano le colonne d’Ercole. La tecnologia, oggi più che mai, elimina il concetto di spazio, e così fa la globalizzazione pure. Vai al supermercato, spendi qualche euro, esci con una busta in cui ci sono frutti freschi raccolti in Asia, in Africa, in America del sud ecc.
Quale spazio cerchiamo in una busta piena di spesa?
Ringraziamo Gassid Mohammed per averci concesso il suo tempo. E consigliamo di andare a recuperare la sua raccolta.
Questo mese il tema di Palin è dedicato allo Spazio! Scopri anche gli altri contenuti!