Palinlegge i contemporanei, questo mese, è dedicato al romanzo Il bikini di Sylvia Plath di Giada Biaggi. Si tratta dell’esordio della sceneggiatrice, stand up- comedian e autrice di podcast milanese, pubblicato da Nottetempo Edizioni. Fondata nel 2002, la casa editrice ha saputo intessere importanti e proficui legami con la scena editoriale internazionale, proponendosi di «dare voce a testimoni e interpreti che della nostra società esplorino la complessità e le contraddizioni».

La narrazione si sviluppa attraverso il flusso di coscienza allucinatorio e irreverente della sua protagonista. Eva è una giovane e brillante ventisettenne. Dottoranda in Filosofia dell’Arte e studiosa della performance femminista, vive all’interno di un piccolo monolocale soppalcato dove il ritmo delle giornate è scandito da una serie di rituali imprescindibili: assumere cocaina da piste preparate con dovizia sulle copertine di grandi classici della letteratura, e fare sexting sui DM di Instagram con Ludovico. Questi è un quarantenne, curatore di mostre d’arte e emblematica incarnazione del radical chic ipocritamente votato a una causa, in questo caso quella femminista, al solo scopo di silenziare la propria coscienza.
In Il bikini di Sylvia Plath Eva è un anti- eroina che con tenacia, ironia e cinismo si destreggia tra le sottili e inopportune avances del proprio relatore e un concitato susseguirsi di storie d’amore tossiche. A questo quadro grottesco, si aggiungono la lettura di capolavori russi sul proprio Only Fans, l’ascolto delle poesie di Silvia Plath su Youtube e oniriche e surreali conversazioni con Freud, Woody Allen e David Foster Wallace.
Cresciuta in un nucleo famigliare disfunzionale, Eva sperimenta fin dalla più tenera età le conseguenze dell’oggettificazione del corpo femminile, così come la presenza ingombrante dello sguardo voyeuristico e patriarcale.
Nota con l’appellativo di Ragazza Fragola, la madre ha avuto una breve parentesi di celebrità negli anni ottanta e novanta come soubrette all’interno del programma Colpo Grosso, per poi reiventarsi come tanatoestetista in seguito a un divorzio innescato dal suo fugace ingresso nel mondo del porno.
Il padre, invece, è un accademico universitario di Storia del cinema, appassionato e specializzato nella cinematografia nazista, che non riesce a sopportare la nudità della donna se non all’interno delle pellicole e che non si esime mai di praticare mansplaining verso la sua progenie.
La figura materna si trasforma per Eva nel monito costante di una vita vissuta sotto l’egida del sessismo e del maschilismo, dove l’intelligenza e l’aspirazione della donna vengono vanificate da una società alienata, una “Milano da bere” fatta di incontri mondani, after- party in Fondazione Prada e storie da ripostrare sui social.
Il mondo dell’arte viene mostrato in tutta la sua vuota superficialità, un’istituzione culturale dominata dal male gaze, dove la protagonista arriva a nutrire il bisogno spasmodico di ritagliarsi un proprio spazio, trasformandosi nella musa ispiratrice della sua stessa opera. Il continuo e spasmodico atto masturbatorio si trasfigura, così, in una performance artistica, in una ricerca di libertà, nel simbolico recupero di un contatto con il proprio corpo, più volte scrutinato e bramato dal sesso maschile.
«Alla fine erano sopravvissute alla storia e al capitalismo solo la Marylin Monroe sorridente e la Virginia Woolf di profilo con lo sguardo perso nel vuoto […] Erano state solo loro due, con queste precise caratteristiche iconografiche, le uniche a sopravvivere al loro suicidio. Sulle magliette, sulle cartoline, sulle agende […]. Mi chiedevo: e io, invece? Quale immagine di me sarebbe rimasta? L’avrei deciso io o l’avrei fatto decidere agli altri? […]
Dallo specchio appannato vidi emergere una giovane donna bionda, ventisette anni, una laurea in Filosofia e un dottorato in chiusura sulla performance femminista tra il XX e XXI secolo. Non la riconobbi subito. Ero io quella donna con i seni compatti e turgidi e con un solco intermammario gestalitico; poi osservai meglio, e vidi quella stessa donna che aveva provato un piacere sterminato per qualcosa di inesistente»
Giada Biaggi confeziona un romanzo al vetriolo che, attraverso una scrittura lucida e dissacrante, mette alla berlina ogni aspetto della vita della sua protagonista, dalle relazioni intime alla sua carreria universitaria, proponendo un ritratto femminile 2.0 che con sarcasmo e ironia cerca di dare un senso alla propria esistenza.

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