Il flâneur è l’intellettuale che passa il suo tempo vagando senza meta per la città. Poeti e scrittori hanno sempre immaginato questa figura come un uomo: ma cosa succede se proviamo a pensarla al femminile?

A partire dall’Ottocento, sullo sfondo metropolitano di Parigi, si incontra per la prima volta il personaggio del flâneur moderno. Questo si afferma come una presenza sempre più ricorrente nel panorama letterario, così come nella dimensione cittadina.

Rinominare lo spazio femminile: la flâneuse 
Emblema del perfetto perdigiorno, il flâneur è l’intellettuale che passa il suo tempo vagando senza meta per la città. Poeti e scrittori hanno sempre immaginato questa figura come un uomo: ma cosa succede se proviamo a pensarla al femminile?

Un‘vagabondo’ borghese, degli spazi urbani, ch trova fortuna come allegoria di un capitalismo incalzante, in quanto la città moderna-contemporanea è acquistata via via, da spazi sempre più commerciali, e con i quale il cittadino dovrà fare i conti. Tuttavia, la sua natura originaria non è finalizzata all’acquisto. Egli nasce come uno sguardo critico sulla folla, sguardo che consente una distanza dal pericolo di omologazione e, allo stesso tempo, di recuperare un rapporto individuale con la città. L’elemento che lo salva dalla sorte consumistico-capitalista è la sua sensibilità artistica.

Ad esempio, il flâneur di Baudelaire si configura come la metafora dell’artista moderno, che riesce a differenziarsi dalla massa proprio grazie a questa sensibilità. L’autore della raccolta Les fleurs du mal (1857) è, infatti, il poeta che meglio riesce a filtrare le trasformazioni che si scontrano quotidianamente nella Parigi del XIX secolo. Secondo Alberto Castoldi, grande studioso dell’immaginario ottocentesco, «Il paesaggio metropolitano non sarebbe altro che la trasposizione esterna di sé»: il flâneur si fa tutt’uno con la città. 

Emblema del perfetto perdigiorno, il flâneur è l’intellettuale che passa il suo tempo vagando senza meta per la città. Poeti e scrittori hanno sempre immaginato questa figura come un uomo: ma cosa succede se proviamo a pensarla al femminile?

Se finora si è preso in considerazione un punto di vista maschile, è solo nei più recenti anni Novanta che il paesaggio viene ridiscusso nell’ottica degli studi femministi, coniando il termine flâneuse. La filosofa Gillian Rose propone una lettura critica del paesaggio come intersezione tra spazio e genere: il suo è un gendered landscape, uno sfondo dove rimangono latenti i sistemi politici patriarcali.

In questa prospettiva, lo sfondo metropolitano industrializzato sarebbe il risultato di uno sguardo prevalentemente maschile. Infatti, se si pensa al termine femminile italiano ‘passeggiatrice’, esso è equiparabile al termine inglese ‘streetwalker’, che viene impiegato nello specifico per indicare una ‘prostituta’.

Questo impiego sessista del termine non fa altro che rafforzare l’identificazione della donna che cammina per la città con il classico stereotipo della donna criminale e di facili costumi. Retaggio sessista che ritroviamo nella figura di Moll Flanders in The Fortunes and Misfortunes of Moll Flanders di Daniel Defoe, romanzo inglese del Settecento, in cui la protagonista, non riuscendo a farsi spazio in una società patriarcale in quanto donna, è costretta a muoversi nella città come ladra e prostituta. In un mondo in cui l’uomo è l’osservatore e la donna è l’osservata, quest’ultima diventa merce, oggetto del piacere dello sguardo maschile

Anche con l’avanzare del progresso la donna non riesce a emanciparsi dal suo stretto legame con le merci come beni d’acquisto. Infatti, a partire dal XIX secolo, la società individua nella figura della flâneuse la perfetta acquirente. Le donne passeggiano in autonomia per le strade della città proprio grazie al libero mercato che, a sua volta, crea i luoghi deputati alla frequentazione delle donne, ovvero i grandi magazzini. La libertà di passeggiare si basa su un compromesso: se la donna si sposta in città di giorno viene vista sotto un’ottica ‘positiva’, in quanto il suo spostamento è messo in relazione alla sua vanità o ai servizi domestici; ma a partire dal tramonto, il corpo della donna diviene la sagoma su cui si proiettano le pulsioni sessuali di uomini sconosciuti.

Fortunatamente, quest’immagine della passante verrà sovvertita durante il Novecento, grazie alla voce autentica di autrici che compiono un vero atto politico di riscrittura del punto di vista femminile sulla metropoli moderna. La città moderna diventa il luogo delle possibilità e della dinamicità, luogo privilegiato dell’elaborazione creativa, di cui Virginia Woolf si fa portavoce letteraria. L’autrice, infatti, riscrive la stessa parola ‘spazio’ attraverso ‘la stanza’: riservarsi «una stanza tutta per sé» è il primo atto di ribellione contro una società misogina che progetta e realizza spazi solo ed esclusivamente a misura d’uomo.

Gli spazi pubblici riflettono l’esclusione secolare delle donne dal campo letterario, in quanto non è loro permesso oltrepassare gli spazi universitari maschili, come i giardini e la biblioteca di Oxbridge, luogo di finzione descritto dalla Woolf, sebbene non sia per nulla solo una fantasia. Lo stesso si riflette negli spazi privati realizzati per ‘l’angelo del focolare’, la donna pudica e servizievole dedita esclusivamente alla cura della casa.

Scrivere in questo senso è un atto politico, che permette alla donna di collocarsi sulla strada dell’emancipazione e asserire con voce autorevole:

«There is no gate, no lock, no bolt that you can set upon the freedom of my mind». 

Fonti

Alberto Castoldi, Il flâneur: viaggio al cuore della modernità, Mondadori, Milano, 2013.

Gillian Rose, Feminism and Geography: The Limits of Geography, Cambridge, Polity Press, 1993.

Virginia Woolf, A Room of One’s Own, Hogarth Press, Londra, 1929.

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Chiara Rotondo

Sogno sempre di essere dove non sono, per fortuna la letteratura mi aiuta a espandere i limiti dell’impossibile e renderli possibili. Virginia Woolf mi ha insegnato ad essere, Wislawa Szymborska mi ha insegnato a parlare, Carla Lonzi a camminare sulle mie gambe. Pratico il buddismo perché credo nel cambiamento. E scrivendo vorrei cambiare il mondo. Anche di una sola persona.

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