Palin questo mese nuota nelle correnti del Tempo. Il tema del mese che unisce le nostre quattro aree, per mostrare come il sapere sia qualcosa che non risiede in spazi chiusi a se stanti, ma è un unico grande mare che sfiora ogni costa.
tèmpo s. m. 1. L’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro, visto a volta come fattore che trascina ineluttabilmente l’evoluzione delle cose o come scansione ciclica e periodica dell’eternità.
Enciclopedia Treccani
È un tempo strano, il nostro, che nessuno sembra più avere ma che disperde- e qui il testo si potrebbe chiudere, e far solo un riferimento a Proust e al suo tempo perduto. Ma se quell’osservazione interiore era, in pratica, un sondare la morte, come direbbe Piperno, sondare la scomparsa di un mondo, di una classe e poi di una vita, il nostro tempo ha qualcosa di diverso.
Noi non cerchiamo, ma osserviamo – e si può osservare il vuoto? – scriveva Moravia- O piuttosto lo si contempla […]. Stessa cosa domanderei di uno schermo.
Il nostro sembra essere il tempo della passività e dell’osservazione della proliferazione di scadenze, moltiplicate per quanto a lungo osserviamo fare alle vite degli altri. Vite a perdere che replicano il paradigma dell’ebbrezza associata alla condivisione, come una mentalità prestativa votata al successo che deve arrivare – a forza- e la conseguente necessità di performare sempre di più, fin alla conclusione dell’obbiettivo, per far spazio ad un numero sostitutivo ed esponenziale. Vogliamo tutto.
Siamo costantemente immersi in stanze virtuali o fisiche che ad ogni ora del giorno e della notte risuonano di voci e rumori, notifiche, mail; tutte storie che ci appaiono come spazi ingombri di scartoffie sparse alla rinfusa o accatastate qua e là, senza alcun ordine apparente.
Queste stanze del nostro tempo recente prefigurano ciò che Gianni Celati, in un suo breve ma densissimo saggio, scritto agli inizi degli anni Settanta e pubblicato nel 1986, dal titolo Bazar archeologico, scrive a proposito della capacità di riconoscere il passato. Anche Calvino, in un suo pezzo scritto nel medesimo periodo, Lo sguardo dell’archeologo (1980) evidenzia la complessità del “magazzino dei materiali accumulati dall’umanità”, suggerendoci di non aspirare più a una comprensione totale dei fatti e delle cose del passato, ma limitarci a descrivere reperti frammentari, mal classificabili, dai significati che risultano spesso oscuri e sfuggenti.
Per Celati, come già per Calvino, il bazar dell’archeologo e il deposito del collezionista offrono immagini di un passato fatto di scarti e frammenti discontinui, di reperti a sé stanti: un tempo segmentato di cui è sempre più difficile trovare il filo che segue o precede l’istante attuale, in cui proiezione e ricostruzione sono due facce della stessa medaglia, ovvero dell’incertezza dell’esserci anche nel proprio tempo – del percepirne tutta la gettatezza.
Allora dove cercarlo il tempo?
Nel mese dedicato al Tempo, noi di Palin abbiamo indagato i luoghi e gli spazi, gli immaginari e le storie per porre un forte accento sul valore euristico della letteratura, dell’arte, ma anche delle scienze “dure” e di quelle sociali, le quali rafforzano pedagogicamente la capacità immaginativa dei lettori, obbligandoli ad assumere uno sguardo alternativo e radicalmente diverso sulla realtà, sulla forma del racconto, e con esso il tempo stesso del narrare e l’atto del rappresentare.
Le inedite posizioni di queste nuove soggettività, sottratte allo spazio ideologico e politico, possono rivelare un nuovo modo di indagare le transizioni culturali e sociali: una telepoiesi interdisciplinare per guardare con occhi nuovi questo tempo.
E tu? Cosa pensi di questo nostro tempo?
Scopri i nuovi contenuti di questo mese paliniano.