La mente di qualsiasi essere umano è sempre attratta dall’ignoto, dalle leggende e dalle suggestioni che ogni luogo custodisce al suo interno.
Il progetto dell’associazione culturale Ascosi Lasciti nasce proprio con l’obiettivo di narrare, attraverso la fotografia, i luoghi abbandonati che costellano il nostro territorio, con l’intento di meravigliare il pubblico facendo riaffiorare dalla memoria patrimoni nascosti.
Grazie a questo progetto, Palin visita ville, industrie, chiese abbandonate che tratteggiano nuove storie e nuovi incontri.
Giorgia Ciolli ha intervistato Cristiano La Mantia, che ci racconta attraverso il suo operato cosa rappresentano questi lavori di reportage, mettendo in scacco le nostre convinzioni.
Mai sentito parlare di urbex o ‘esploratori urbani’?

Mi può raccontare il progetto di cui fa parte, da dove nasce questo interesse viscerale per i luoghi abbandonati e quali sono i rischi che si corrono portando avanti questa attività?
Il progetto Ascosi Lasciti nasce come progetto circa dodici anni fa, progetto personale di Alessandro Tesei, che è un regista e videomaker, lavora per varie televisioni e in questo momento è ingaggiato con le Iene. Lui della passione per l’esplorazione dei luoghi abbandonati ne ha fatto un sito: ascosilasciti.com.
Negli anni gli si è affiancato un altro ragazzo, Davide Calloni, anche lui urban explorer ma di un’altra regione, e grazie a lui il sito ha acquisito senso. Noi chiamiamo Alessandro il tipico ‘genio sregolatezza’, lui ha dato la forma al sito e ha fatto sì che piano piano iniziasse a contenere tutti i luoghi abbandonati che venivano scoperti in giro per l’Italia, sia da Alessandro che da lui.
Con il tempo i ragazzi hanno progettato e immaginato di avere un referente per ogni regione, così facendo ad esempio mi sono avvicinato io, Davide mi ha contatto perché serviva un referente dalla Sicilia e io con il mio gruppo, dopo sei mesi che eravamo online, siamo stati contattati e siamo entrati a far parte di Ascosi Lasciti. Quindi Ascosi Lasciti è un collettivo che comprende tante e diverse entità che vanno dai fotografi agli architetti agli storici ai meri appassionati; io, ad esempio, sono un fotografo di professione e ognuno di noi si occupa della propria regione.

Ascosi Lasciti è un collettivo/associazione che si trova in tutta Italia.
Attualmente, come racconta Cristiano La Mantia, tutte le regioni italiane sono coperte ma si è ancora alla ricerca di referenti da regioni un più complesse, come la Valle D’Aosta e la Calabria.
L’associazione nasce durante il periodo del Covid, per questo la sede associativa è Skype. Nonostante le difficoltà del momento, sono state organizzate delle manifestazioni che hanno garantito la visibilità sul territorio nazionale.
Per Ascosi Lasciti è fondamentale che ognuno si occupi del proprio territorio. A breve verrà anche presentata una mostra itinerante, realizzabile unicamente grazie ai soci che si stanno attivando nelle rispettive regioni, girerà l’Italia a partire dalla Sicilia, sarà in esposizione a Catania, Palermo, in provincia di Messina e Siracusa, a settembre andrà in Umbria, a Gubbio, in occasione del festival del Medioevo e continuerà a girare per l’Italia.
Come è nato il suo interesse per l’urbex e il suo coinvolgimento con Ascosi Lasciti?
Ascosi Lasciti per quanto mi riguarda è nato per un piacere, dovevo andare in Belgio per una settimana di vacanza e con un amico abbiamo scoperto questo mondo, andando a esplorare. Io sono un esploratore a prescindere, sono nato sotto l’Etna e per me camminare, esplorare, è la base della mia vita: sono stato, come mi piace definirmi, concepito all’interno di una roulotte. I miei genitori sono stati da sempre dei camperisti e dei campeggiatori,quindi ho sempre vissuto questa voglia di libertà e di esplorazione.
Lì, in Belgio, è nato tutto, abbiamo scoperto un mondo.
Il Belgio è la capitale dell’urbex europeo, ci sono bellissimi castelli e industrie. Per la mentalità estera queste strutture devono essere o abbattute o valorizzate, ad esempio la cattedrale dell’urbex in Europa era Château de Noisy, il castello di Noisy, che è stato abbattuto nel 2019 perché era pericoloso. Io ho avuto il piacere di visitarlo due anni prima che lo abbattessero e ho trovato più o meno 25 persone che visitavano contemporaneamente questo castello stupendo di 7 piani. Quindi sì, la mia passione per l’urbex è nata lì… poi sono tornato in Sicilia e per contingenze ho iniziato ad esplorare anche qui, mi era stato chiesto di fare foto alle linee ferroviarie abbandonate per un libro di didattica universitaria e ho continuato fino a farla diventare una ‘schifosa malattia’.

In realtà il vostro lavoro non si concentra solamente sul territorio italiano, è corretto?
Abbiamo dei collaboratori esterni e negli anni tante persone si sono avvicinati al progetto. Uno dei più prolifici collaboratori di Ascosi si chiama Jonathan Della Giacoma, vive in Svizzera ma gira gran parte dell’Europa, ed è lui che per lo più gestisce i collaboratori esteri. Stiamo cercando anche di responsabilizzare i referenti di zona poiché il movimento con il tempo sta diventando sempre più importante e grande.
Da dove nasce la scelta di questo singolare nome “Ascosi Lasciti” e qual è il suo significato?
‘Ascosi Lasciti’, questo nome un po’ astruso, deriva da un italiano ormai desueto. Alessandro ha inventato il termine e significa i lasciti, quindi quello che viene lasciato, nascosto, ascoso. Il significato è relativo anche alla riscoperta di un italiano che è antico, quello che facciamo noi è riscoprire il territorio, le nostre radici. Dunque, si tratta anche di un gioco di parole.

Ci può spiegare il significato di esplorazione urbana o urbex?
Si concentra esclusivamente sugli edifici in stato di abbandono? Quando siete effettivamente sicuri che l’edificio sia stato abbandonato?
Questa attività immagino presenti anche dei rischi legali.
L’urbex in realtà non nasce in Italia ma negli Stati Uniti d’America. Si fa risalire a un esploratore francese, Philibert Aspairt, che si è perso nelle catacombe francesi intorno al 1700, ma questa è una leggenda. L’urban exploration è la mera esplorazione urbana, quindi di luoghi non conosciuti all’interno delle stesse città e del territorio in cui si abita.
Attenzione, l’urbex non è propria dei luoghi abbandonati. Noi come Ascosi Lasciti la intendiamo in un termine molto più alto e complesso, perché l’esplorazione urbana, le stesse parole lo suggeriscono, indica l’esplorazione delle città. Ad esempio, io abito a Catania, in Sicilia, e ho trovato ville dimenticate al centro della mia città; quindi, nel più alto senso l’esplorazione urbana è l’esplorazione di un luogo, non per forza abbandonato. Si parla di ville, industrie, chiese. Il patrimonio dell’abbandono in Italia è immenso, anche in Francia ci sono castelli bellissimi abbandonati, però nelle altre parti del mondo si ha una progettualità sul recupero o sulla riqualifica del luogo che è maggiore rispetto all’Italia.
Inoltre, stiamo cercando anche di portare avanti un certo tipo di educazione sull’urbex perché è un’attività molto pericolosa. Bisogna essere consapevoli di ciò che si rischia, in tutti i sensi, sia da un punto di vista fisico, empirico, ad esempio ti rompi una gamba se cade un solaio… e questo è il minimo. Noi abbiamo una grossissima fetta di giovanissimi, dai 13 ai 17 anni, che ci segue e vanno educati.
In Sicilia, Cristiano La Mantia porta avanti un progetto importante, periodicamente si reca nelle scuole del territorio per parlare dei rischi dell’urbex.
«Ne abbiamo bisogno»
Con queste parole parla della necessità di raccontare non solo i rischi fisici ma anche quelli legali a cui si va incontro. A livello giuridico, il luogo abbandonato non esiste. Sia che si tratti di una villa che di un’industria ci sarà sempre un proprietario: degli eredi, lo Stato, la regione, il comune. Spesso sono gli enormi costi di smaltimento, ad esempio di un’industria lasciata al degrado, che fanno sì che il luogo venga abbandonato. Allo stesso modo i costi di riqualifica di una villa sono esosi, gli eredi spesso non riescono a trovare un accordo su cosa farne: venderla, non vederla, farne un bed and breakfast, e spesso il risultato è l’abbandono.
Ti racconto un esempio che ho vissuto in prima persona. Si girava per le campagne siciliane alla ricerca di luoghi abbandonati, ne avevamo segnati alcuni, e nel frattempo ne avevamo adocchiato un altro, era una villa. Entriamo con la macchina in un vialetto e troviamo i custodi. In realtà l’edificio sembrava abbandonato, ci sono alcuni segnali che ti dicono che la villa è molto probabile che sia stata dimenticata, come il tetto bucato o i campi incolti, e in questo caso avevamo visto che c’era il tetto bucato e ci siamo avviati: lo spirito è che se vedi una porta aperta entri… Entrando troviamo i custodi, il marito che stava sistemando delle cose fuori e la moglie stava sgusciando le fave seduta sul tavolo all’interno di un salone magnificamente affrescato. Ci hanno raccontato la storia di questa casa che è finita nelle mani di tre fratelli, due dei quali abitano a Milano, uno in Sicilia, ma non sono mai riusciti ad accordarsi sulle sorti dell’edificio e hanno lasciato la villa completamente abbandonata, a esclusione dei campi che vengono gestiti dal custode.
Nell’edificio è presente un garage colmo di macchine del 1920 completamente arrugginite… Un patrimonio abbandonato! Non si capisce che una cosa del genere potrebbe invece avere degli sviluppi economici, ma in Italia a questo ancora non ci si arriva perché si parte dal presupposto che con la cultura non si mangia. Io mi sento uno di quegli stupidi che ancora non è andato via, quasi tutti i miei amici sono andati in Inghilterra, Belgio, Spagna… io invece ci voglio investire e l’ho fatto nel mio territorio, ci credo e mi piace la terra in cui vivo.

Attraverso i vostri reportage, se così posso definirli, raccontate delle storie, svelate dei messaggi nascosti. Si tratta di racconti per immagini che intendono porre uno sguardo nuovo di fronte a luoghi abbandonati a cui abitualmente non si presterebbe interesse; dunque, immagino che per narrare questo patrimonio nascosto portate avanti anche delle ricerche documentarie.
Mi può spiegare il processo che vi conduce al racconto di uno di questi luoghi?
Siamo tanti tipi di persone differenti e ognuno ha la sua metodologia. C’è chi, ad esempio, visita i luoghi abbandonati senza scattare neanche una foto, perché vuole godere dell’emozione che la visita di un luogo abbandonato gli suscita. C’è chi si porta dei documenti, trovati su internet o tramite ricerche personali, per verificare se quel luogo è effettivamente come era stato descritto. C’è chi, come me, non si documenta prima. Nel mio caso faccio una ricerca sul territorio del luogo di interesse, ci vado, mi emoziono. Le emozioni che provi all’interno sono una miriade, dalla paura di essere scoperti, al trovare un abitante sconosciuto, al godere proprio e puro del luogo abbandonato, alcuni posti sono meravigliosi; quindi, per chi come me apprezza l’architettura questo è un hobby. Poi tornando a casa inizio a fare una ricerca che mi porta anche a raccontare il luogo, a volte inventando, soprattutto per le ville poiché i documenti sono difficili da trovare, mentre per gli altri luoghi cerchiamo di raccontare un minimo la storia. Dico un minimo perché la nostra regola base è di non svelare i luoghi che visitiamo. Non li sveliamo per cercare secondo la nostra visione, secondo la nostra filosofia e politica, di preservarli, perché ci siamo accorti che appena la localizzazione viene individuata il luogo viene depredato nel vero senso della parola. Abbiamo trovato anche reperti storici importanti, io personalmente ho trovato un affresco ormai distrutto di uno dei più grandi rappresentanti del liberty siciliano del 1900. Abbiamo trovato divani, mobili, porcellane… sta di fatto che se il luogo viene individuato viene automaticamente depredato, distrutto e vandalizzato. Siamo un gruppo molto osteggiato proprio perché non riveliamo i luoghi che documentiamo, spesso si pensa che lo facciamo per farci belli, non è stato sempre così, Ascosi Lasciti è arrivato con il tempo a non dare più quasi nessuna informazione, perché ci siamo accorti del problema che stava nascendo. È diventata una corsa alle figurine… e per questo do la colpa ai social, su internet si vendono le location a partire da pochi euro, è un mercato illegale.
Tra i vostri intenti c’è sicuramente quello di far riaffiorare alla memoria patrimoni nascosti, con un intento celato di denuncia verso l’incuria, il degrado e l’abbandono dei siti storici?
Noi siamo un gruppo poi diventato associazione, quindi esiste anche un’associazione di Ascosi Lasciti che non è il collettivo. Parte del collettivo, cinque persone, hanno creduto e credono di potersi impegnare per la riqualifica del loro territorio, uno di questi sono io; quindi, abbiamo dato vita ad un’associazione per istituzionalizzarci, per iniziare a poter parlare di riqualifica, di rivalutazione del territorio.
Non tutti i partecipanti al collettivo credono in questo, ognuno fa urbex a proprio modo, come collettivo e non come associazione non diamo delle linee guida, ognuno fa ciò che vuole, poi sul sito si racconta una storia inventata o recuperata basata sul luogo che si è visitato. Non tutti credono nella riqualifica attraverso l’urbex, alcuni di noi ci hanno creduto e da due anni è nata l’associazione. Stiamo cercando di portare avanti un certo tipo di educazione, anche perché l’urbex è un’attività molto pericolosa, bisogna essere consapevoli di ciò che si rischia. È anche un discorso complicato immaginare che ci sia un collettivo e un’associazione che vanno parallelamente ma che sono distaccati, ma è ciò che è. Io sono il presidente dell’associazione e lo sarò per altri tre anni, sono quello che ha spinto di più, insieme ad Alessandro, per la creazione dell’associazione. Se dei ventotto referenti di Ascosi Lasciti ventitrè non credono nell’associazione non cambia nulla per noi, l’importante è che credano in quello che stanno facendo.

Dunque, nello stesso progetto sono inseriti due obiettivi diversi e convergenti allo stesso tempo, quali sono quelli per il futuro?
Ascosi Lasciti ha l’obiettivo di mettere in luce i luoghi che non sono conosciuti poi l’obiettivo più specifico dell’associazione è di riuscire a parlare con le istituzioni. Abbiamo un database di luoghi di oltre 1800 siti già pubblicati e ce ne sono altri 2000 da pubblicare, noi ci siamo dovuti istituzionalizzare perché l’associazione crede di avere delle idee per sviluppare il territorio. All’interno dell’associazione abbiamo tante figure, io personalmente ho già un progetto per la valorizzazione di alcuni borghi in Sicilia ma ognuno si sta attivando per il proprio territorio. C’è un progetto di massima che comprende proprio i borghi abbandonati che sono quelli in questo momento più attenzionati, lo vorremo presentare regione per regione. È impossibile strutturare un progetto che comprenda tutta Italia, bisogna fare piccoli passi e cercare di far capire anche quali sono gli intenti. Si dice spesso che è difficile parlare e che le istituzioni non ascoltano…noi intanto parliamo e cerchiamo di proporre delle idee buone.
Parlare non nuoce, credo. L’associazione è stata fondata con la volontà di proporre delle idee, di cercare di riqualificare e di denunciare.
Non ci interessa denunciare nel vero senso della parola, a noi interessa più denunciare da un punto di vista filosofico, cioè mettere in luce questo tipo di problematiche e cercare di capire anche quali sono le soluzioni, noi ci mettiamo a disposizione per trovare delle soluzioni sia con il privato che con il pubblico.
Il tema della memoria è oggi quanto mai più vivo, si presenta come una questione cardine del nostro secolo e sempre più spesso si evidenzia la necessità, a causa di fenomeni come quello della labilità della memoria, di preservare la fisicità del ricordo: in questo modo entrano in campo le istituzioni come quella museale, che ha lo scopo di conservare le tracce del passato ma soprattutto di creare connessione tra passato, presente e futuro.
In questo senso mi sembra che i luoghi che riportate alla luce si pongano come dei veri e propri musei a cielo aperto; il rischio, dunque, che tali testimonianze siano perdute è gravissimo.
Come mai secondo la sua esperienza si arriva a tali condizioni e perché a volte il vostro lavoro viene osteggiato?
Ho un esempio personale: stavo cercando una cappella abbandonata e ho trovato un borgo attorno a questa cappella, disabitato. La cappella era di proprietà di un palazzo ducale di uno degli ultimi gattopardi siciliani, il palazzo era aperto e sono entrato. Ho fatto il mio servizio e pubblicato le foto, poi mi è arrivata l’e-mail della proprietaria che mi chiedeva come fossi entrato e chi mi avesse dato l’autorizzazione; ecco, questi sono i rischi. Alla fine, ho avuto modo di spiegare quale fosse il nostro intento, loro stanno cercando di vendere il palazzo e io ho trovato la via per metterli in contatto con una delle più grandi agenzie immobiliari al mondo; fino a che l’edificio non verrà venduto abbiamo intenzione di far fare delle visite al palazzo, si è creato un dialogo costruttivo.
Spesso dall’altro lato troviamo chi comprende qual è il nostro intento, che non è quello di rubare. Noi al massimo ‘rubiamo’ delle emozioni, non abbiamo la voglia di devastare. Nel nostro collettivo c’è chi vuole solamente mettere in luce queste bellezze e chi si vuole dedicarsi al recupero e alla valorizzazione del territorio. Moltissime volte abbiamo avuto questo tipo di problematiche e moltissime volte le abbiamo risolte con il dialogo, ma questo è possibile quando dall’altro lato c’è un interlocutore che comprende cosa stiamo facendo, qual è il nostro intento, ma ovviamente non sempre è così. Noi possiamo riuscire anche a trovare delle vie alternative, vogliamo creare una rete di soggetti che fra di loro riescano a interloquire, che siano pubblici o privati, facciamo da ponte. Questo è il nostro intento per il nostro territorio.

Infine, mi piacerebbe parlasse della sua fotografia, di cosa lo attrae.
Per Roland Barthes il punctum rappresenta quel segno che lascia nello spettatore una ferita, qualcosa che non può essere ignorato, che ti colpisce prima che te ne possa rendere conto, il fotografo è invece un veggente che ha la capacità di cogliere il momento per fissarlo sotto l’aspetto dell’eternità.
Che significato riveste per lei la fotografia, qual è il punctum che inconsciamente la attrae?
Sei anni fa ho preso la scelta più importante della mia vita che è stata quella di abbandonare un bel lavoro fisso, tranquillo, stipendiato, anche se con qualche difficoltà, decidendo di fare della fotografia il mio unico mantra.
Io sono un fotografo appassionato e non mi reputo mai professionista. Per me il fotografo professionista non esiste, è sempre un amatore della fotografia.
La fotografia rappresenta l’espressione del mio essere. La voglia di comunicare qualcosa, io la interpreto così, che poi quel qualcosa venga capito o meno a me non interessa, perché non faccio della fotografia un mero utilizzo economico. Io utilizzo la fotografia per uno scopo personale, anche come ricerca per rappresentare alcuni discorsi che ho in mente, cercare di darmi delle risposte. Cerco nella fotografia un mezzo per raggiungere una risposta, tant’è che faccio molta fotografia creativa proprio perché vedo in questo tipo di utilizzo della macchina fotografica il modo che mi rappresenta maggiormente, cercando una risposta, sempre.
Sono il tipico bambino che si fa sempre delle domande. La fotografia è un mezzo per raggiungere una risposta alle mie domande e per comunicare qualcosa, sia che si tratti di un concetto prettamente emozionale sia che si tratti di un reportage.
Come vede il suo impegno nei confronti del territorio?
Mi sono messo a disposizione del territorio perché è il sentimento più forte con il quale ho a che fare, quello di vedere una minima parte del mio territorio migliorata con il mio impegno. Abbiamo collaborato con Le vie dei tesori.
che qui in Sicilia è una fondazione molto importante. Abbiamo fatto visitare, durante un festival, cinque borghi abbandonati, tra cui una manifattura tabacchi ormai in disuso. Stiamo cercando di esportare un certo tipo di idea per cui con la cultura si possa vivere, che con la cultura si debba vivere, soprattutto in un paese come il nostro. Noi possiamo distruggere tutto ma poi non avremo più niente. La cultura è un investimento su sé stessi, sull’accrescimento del proprio valore.
Ascosi Lasciti documenta la sua attività anche attraverso, sulle pagine Facebook e Instagram.