Il dibattito sulla sede corporea delle emozioni e della razionalità chiama in causa sia i filosofi stoici ed epicurei, sia poeti come Lucrezio e Catullo. L’articolo non si propone di dare soluzioni, ma di rendere la complessità di interpretazione degli antichi e per gli antichi.
Nell’antichità trovare il luogo della mente era un piccolo sacro Graal per filosofi e fisici.
Le prime vivisezioni, concesse dalla legislazione dei Tolomei e svolte dagli alessandrini Erofilo (335 a.C.) ed Erasistrato (304 a.C.) avevano confermato che il cervello fosse la cabina di controllo dell’intero corpo; non sembrava però che questa soluzione fosse per tutti i pensatori così soddisfacente. Già nei frammenti degli Stoici, si legge:
Stando così le cose, sul resto si è d’accordo, mentre sulla parte direttiva dell’anima si è in disaccordo, perché alcuni dicono che sia in un luogo, altri in un altro: infatti alcuni dicono che sia nel petto, altri nella testa.

I due capiscuola dell’epicureismo e dello stoicismo, Epicuro e Zenone, convenivano effettivamente nel localizzare la ragione dentro il petto. E Lucrezio sembra apparentemente legato anche in questo aspetto al suo maestro Epicuro; ai versi 3.139-46 del suo De rerum natura, egli scrive
Consilium, quod nos animum mentemque vocamus.
Idque situm media regione in pectori haeret.
Hic exsultat enim pavor ac metus, haec loca circum
Laetitiae mulcent: hic ergo mens animusquest.»
[La facoltà razionale che noi chiamiamo ‘animus’ e ‘mens’
è localizzata nel mezzo del petto.
Là dentro ribolle la paura e il timore, e la gioia addolcisce
la sua sede. Qui dunque risiede l’animus, la mens.]
Tuttavia, dalla sua descrizione, il ‘petto’ sembra essere sede più delle emozioni (ossia pavor, metus, laetitiae) che della mente.
Linguisticamente, il passaggio è colmo di indizi: la congiunzione – que in latino è nota per unire idee identiche. Attraverso un espediente retorico nel testo latino, mens e animus potrebbero anche indicare lo stesso concetto.
Per quanto Lucrezio possa costituire una fonte decisiva nell’analisi del polinomio anima–animus-mens, è anche vero che la sua trattazione potrebbe essere stata influenzata dall’obiettivo immediato della sua opera: la dimostrazione della materialità dell’anima, con la conseguente distruzione della paura della morte. Anche i critici hanno individuato una sorta di contraddizione nella pericope lucreziana, dal momento che una distinzione tra animus e anima esiste ed è la stessa che gli Epicurei pongono tra λογικὸν μέρος [loghicòn mèros, parte logica] e ἄλογον μέρος [àlogon mèros, parte emotiva]. Esse sono forse localizzate in parti differenti della psiche, ma il problema traduttivo di rendere anima con il corrispettivo italiano ‘anima’ è una realtà.
Sembra che Lucrezio, nella sua volontà di identificare la mens, abbia recuperato concezioni pragmatiche quasi pre-filosofiche, forse omeriche: in esse la mente [νόος, nòos] equivale alla volontà [βουλή, bulè]. Si tratta di un’identificazione abbastanza peculiare, sostenuta con una convinzione quant’altri ne ebbero, nonostante nella letteratura latina gli accostamenti tra mens e animus non manchino. Catullo, per esempio, nel carme 64 dedicato alla vicenda di Teseo e Arianna, li pone su un piano simile, ma nell’ottica di una differenziazione, non di identificazione: la mens ne risulta la parte più importante dello spirito (Catull. 64, 65-6: «toto ex te pectore, Theseu, / toto animo, tota pendebat perdita mente»).
Insieme all’animus, la mens rimane la sede dei sentimenti di Arianna abbandonata dall’incostante Teseo. Un espediente retorico chiamato in greco apò koinòu permette di legare la perdita mens sia al pectus che all’animo, preservandone la doppia natura di ente emotivo e garante della cerebralità dei sentimenti. A Catullo però doveva essere consentito sfociare nel puro concetto, pur creando delle aree di pertinenza per ogni funzione; a Lucrezio no, dal momento che egli per primo si trovò a risolvere i problemi insiti nella creazione di una terminologia filosofica latina.
Il discorso del poema lucreziano si mostra assai materialistico, eppure anche il materialismo di sensazioni fisiche come il sudore e il pallore non può che condurre alla mens. Per comprendere quanto meno la portata della decostruzione di questo assioma – la localizzazione delle emozioni nel petto – non si potrà dunque prescindere dall’importanza del giudizio nell’idea epicurea. La chiave sta forse nel ritenere la mente «something bodily»: la mente è corpo, perché non è possibile che qualcuno o qualcosa di diverso dal corpo comunichi così bene con esso. Ecco perché la mente deve essere un organo, che gli Epicurei non seppero precisamente identificare: forse il petto? forse una combinazione tra petto e testa?

Gilbert Ryle, allievo di Wittgenstein, in The Concept of Mind (1949), afferma che considerare la mente entità indipendente, centro di controllo del corpo, è un’idea vetusta, «un rimasuglio superfluo di un periodo antecedente lo sviluppo della biologia moderna». La separazione di mente e corpo in Lucrezio è funzionale alla semplificazione in chiave metaforica delle abilità di organismi complessi. Ma l’idea lucreziana finale è forse più quella di una mente-corpo: una soluzione mediana, un espediente congiunto, che rende l’autore un archetipo essenziale per instaurare un dialogo tra scienze umane e scienze della natura.
Bibliografia e sitografia:
Lucrezio, De Rerum Natura, ed. a cura di A. Fellin, UTET, Torino, 2013.
Gigante V., ‘Mens’ e ‘animus’ in Catullo: forma poetica ed elaborazione concettuale, in «Annali Della Scuola Normale Superiore Di Pisa. Classe Di Lettere e Filosofia» n. 8 (1), 1978.
Von Arnim H. (ed.), Stoicorum veterum fragmenta, Teubner, 1903-24.
O’Keefe T., Epicurus (341—271 B.C.E.), in «Internet Encyclopedia of Philosophy» (https://iep.utm.edu/epicur/).
Sanders, K. R., Mens and Emotion:’De Rerum Natura 3.136-46’, in «The Classical Quarterly», n. 58(1), maggio 2008.
Taglienti S., Di che cosa è fatta la mente, in «AgriCulture», consultabile on-line all’indirizzo https://www.fidaf.it/index.php/di-che-cosa-e-fatta-la-mente/, 26/01/2015.
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