Dal punto di vista archeologico e storico-artistico, i Bronzi di Riace rappresentano una delle scoperte più sensazionali del XX secolo. Dopo cinquant’anni dal loro rinvenimento nelle acque calabresi, le due statue attraggono e incantano ancora migliaia di visitatori nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, loro luogo di conservazione e tra le più importanti realtà museali italiane sulla storia della Magna Grecia. Due sculture che si fanno portavoci di una cultura millenaria e che raccontano una storia che appartiene a tutti
Uno dei primi insegnamenti che si apprendono a un corso di archeologia è la non riproducibilità di uno scavo archeologico, che per definizione è un atto distruttivo, e che di conseguenza un reperto archeologico deve essere necessariamente legato al suo contesto di provenienza, senza il quale risulta più difficile nonché più approssimativo e meno scientifico interpretarlo.
Eppure, una delle più significative scoperte archeologiche è avvenuta per caso: esattamente cinquant’anni fa a Riace Marina, in provincia di Reggio Calabria, venivano recuperate dal mare due statue di bronzo capolavori della statuaria greca, note come Bronzi di Riace, oggi conservati al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
È il 16 agosto 1972 quando Stefano Mariottini, durante un’escursione subacquea, a circa duecento metri dalla costa e a otto di profondità scorge le due statue, deteriorate e corrose dal tempo e dagli agenti marini ma ancora dotate della lucentezza del bronzo.
La scoperta ha dato vita a un processo di studio e restauro che è stato fondamentale per aggiungere un altro tassello alla nostra conoscenza sulla storia della statuaria greca. Dal punto di vista artistico, le due sculture — collocabili cronologicamente alla metà del V secolo a.C. circa — sono espressione dello stile severo, cioè di una fase ben circoscritta della produzione artistica greca di cui i Bronzi sono solo tra i pochi esemplari giunti fino a noi. Fino ad allora, le statue greche erano caratterizzate da una posa rigida assiale dove il peso era concentrato su entrambe le gambe: esempi evidenti sono i famosi kouroi e korai, dotati ancora di un corpo rigido le cui forme sono anche dettate dal materiale utilizzato, il marmo (proprio al Museo di Reggio Calabria è conservato un kouros). Con lo stile severo, invece, cambia la prospettiva sulla produzione statuaria: viene utilizzato il bronzo, un materiale più malleabile, sebbene soggetto a corrosione e deterioramento oltre che alla fusione che spesso veniva operata per recuperare metallo durante le guerre per produrre armi e armature; l’esigenza di armare gli eserciti ha infatti spesso determinato la fusione di statue in bronzo, che di conseguenza oggi risultano definitivamente perdute.
È evidente, dunque, come la scoperta dei Bronzi di Riace e di altre statue in bronzo a noi pervenute risulti sensazionale. Osservando i loro corpi e la loro posa, emerge una questione interessante che riguarda proprio un nuovo modo di realizzare statue basato sul concetto della ponderazione: il peso del corpo si concentra solo su una gamba lasciando l’altra a riposo e donando al corpo un ritmo sinuoso, forse meno solenne dei kouroi e delle korai, ma sicuramente più realistico. I Bronzi hanno dettagli incredibili e affascinanti, come la muscolatura ben definita, applicazioni per rendere più vivi gli occhi, i denti, le ciglia, i capezzoli o le unghie; si possono notare anche le vene in evidenza sulla pelle, un tratto che suggerisce una maestria non indifferente nel modellare il bronzo.
Archeologicamente parlando, la fortuna della scoperta coincide con la loro condanna: chi sono? Chi rappresentano? Perché sono solo due? Perché si trovavano proprio sott’acqua e nell’odierna Riace? Esistono delle risposte a queste e più domande, ma non si hanno attualmente gli strumenti necessari per andare oltre le ipotesi. Partendo già dal ritrovamento e dalle successive vicende circa il trasporto da Riace a Reggio Calabria per i dovuti restauri, non sembra ci siano dei margini di oggettività. Il ritrovamento in un contesto secondario rende ancora più difficile comprendere quale fosse la loro origine e la loro funzione.
Oggi i Bronzi di Riace sono esposti al Museo Archeologico di Reggio Calabria: un percorso su quattro piani che parte dalla Preistoria e attraversa la fase greca e infine quella romana, dove si può leggere la storia non solo della città di Reggio Calabria e dell’attuale area metropolitana, ma anche del territorio della Magna Grecia. I reperti conservati, da quelli più piccoli nelle teche a quelli più monumentali come le porzioni dei templi, sono tesori che permettono ai visitatori di viaggiare attraverso il passato del Mediterraneo, assaporando una civiltà di tradizione ellenica custode non solo solo delle influenze dalla Grecia, ma anche quelle dell’attuale territorio calabro, siciliano, dell’Italia meridionale e, ovviamente, del mare.
Grazie alla loro fama, le due sculture sono i principi della struttura museale e riposano nella sala a loro dedicata, immobili nella loro eleganza da ormai quasi 2500 anni ma allo stesso tempo vivi, e senza parlare ci raccontano una storia: una storia che si evolve ma in realtà rimane sempre uguale e che riguarda noi stessi come società contemporanea. Uno dei compiti dell’archeologia è proprio ricostruire il passato come un puzzle partendo dalle poche tessere a disposizione, riconnettendoci con una società antica ma che come noi produceva, consumava, pensava e aveva i nostri stessi problemi.
I Bronzi di Riace, nonostante per la loro epoca fossero un tipo di opere piuttosto comune, come tutti i reperti hanno un valore inestimabile dovuto alla loro unicità. Ai nostri occhi e per la nostra cultura attuale, ciò che è giunto fino a noi e le scoperte che ancora dovranno essere fatte sono un tesoro da proteggere, senza dimenticare che sono il risultato di un’espressione di una civiltà che, per quanto lontana nel tempo, ci appartiene.
A cura di Elisa Sottilotta
Fonti:
Bejor G., M. Castoldi, C. Lambrugo, Arte Greca. Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori, 2013
Micheli M., Vidale M., L’anatomia dei Bronzi di Riace in Le Scienze, n. 371, agosto 1999
Rebaudo L., I Bronzi di Riace: archeologia e archeometria in Malacrino C.G., Castrizio D., I Bronzi di Riace. Studi e ricerche, Laruffa Editore, 2020
Le foto nell’articolo sono una gentile concessione del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria