Da secoli il corpo è considerato come un biglietto da visita, la propria carta d’identità. «Quello che vedi sei», come se fosse un involucro di esteriorità, l’essere di una persona è definito dalla propria immagine esterna, da come appare. Secondo l’etimo di ‘corpo’, esso è appunto «forma, immagine», e secondo gli antichi, il vero e proprio contenitore dell’anima. Vale anche per le donne?

A partire dalle teorie dell’inconscio freudiane, Lacan, psicanalista francese del XX secolo, il soggetto o l’Io è frutto di una costruzione che parte dall’infanzia secondo il cosiddetto stadio dello specchio. Il bambino nelle sue prime fasi di vita, nel momento in cui indugia a vedere per la prima volta la sua immagine allo specchio, generalmente e non a caso tra le braccia della madre, inizia pian piano e riconoscersi come soggetto riflesso nello specchio elaborando un abbozza d’identità. La madre in questo caso non è un soggetto casuale, in quanto diventa primo soggetto di relazione e soprattutto di contrapposizione: «Io sono diverso da te».

Luce Irigaray, anche lei filosofa e psicanalista francese, si sofferma su questo punto in particolare della teoria lacaniana. Nel suo libro Speculum. L’altra donna (1974), caposaldo del pensiero della differenza, sottolinea che il pensatore francese ha omesso dal discorso filosofico-psicanalitico un dettaglio non indifferente: e la bambina? Come misura la propria identità di fronte allo specchio? Tornando indietro, Freud definisce chiaramente il ruolo del soggetto femminile in un concetto chiamato invidia del pene: le bambine, in quanto prive di un organo genitale ‘visibile’, sviluppano una sorta di senso di angoscia derivato dalla mancanza dell’organo sessuale maschile. In questo senso, lo specchio come superficie piatta, che restituisce un’immagine esterna, non può essere che il solo e unico elemento privilegiato della costruzione di un’identità che è solo maschile. Asserendo che finora nel pensiero occidentale la donna è sempre stata considerata come oggetto del discorso e non come ‘soggetto’ di una tradizione che la Irigaray definisce ‘fallologocentrica’ dal momento che si basa esclusivamente sulla centralità simbolica dell’uomo, Luce Irigaray suggerisce, invece dello specchio lacaniano, di usare uno speculum, ovvero lo strumento ottico concavo usato dai medici per guardare dentro il corpo umano, in particolare dentro l’organo sessuale femminile. Da quel momento la donna non viene più vista come qualcosa ‘da riempire’, un vuoto, un nulla, una negazione dell’uomo, quindi meno. Bensì altro. 

Speculum apre le porte a una nuova visione del corpo femminile che cavalca l’onda del femminismo della seconda ondata — che va dagli anni Settanta agli Ottanta — in cui la vita personale della donna non rimane più un fatto privato, ma diventa, come viene definito da Carol Hanisch, «personale politico». Sino a quel momento, come aveva svelato la Irigaray, il mondo era misurato secondo un falso neutro universale, ovvero un ordine simbolico maschile. A partire dagli anni Settanta con il Women’s Liberation Movement e il Manifesto di Rivolta Femminile in Italia, le donne iniziano a radunarsi all’interno di spazi autogestiti detti gruppi di autocoscienza, frequentati da femmine di tutte le età. Gli argomenti sono tutto ciò che fino a un decennio prima erano considerati tabù: sesso, mestruazioni, contraccezione, aborto.  In questo modo le donne, riappropriandosi dei loro corpi, si riscoprono soggetti con una centralità, una individualità propria, riscrivendo il loro ruolo all’interno di una società ormai smascherata come patriarcale. Riscoprono e ri-significano soprattutto i loro desideri, che sino a quel momento – e purtroppo ancora oggi — erano frutto di una visione maschile. Assumendo la donna come oggetto dello sguardo maschile, nell’ambito dei media non si può non notare che la maggior parte delle rappresentazioni femminili sono dominate dallo sguardo maschile: il corpo delle donne è erotizzato e stereotipato, il ruolo femminile va dalla classica femme-fatal fino alle ultime ‘veline’. Non solo, le immagini che frequentemente vengono trasmesse dai media, suggeriscono un’ideale di bellezza sempre filtrato dal cosiddetto male-gaze, che non ha niente a che vedere con la ‘normalità’. Donne bianche, giovani, magre, preferibilmente eterosessuali, solo una minima fetta dell’intero ventaglio femminile. Così si viene a formare un secondo neutro universale con il quale le donne, ingannate dallo sguardo maschile sull’altra, si confrontano con altre donne, ricreando il solito gioco dello specchio, nel quale l’esteriorità prevale, e «se sei uguale a me vai bene, altrimenti non hai valore». 

Jennifer Guerra, nel suo libro Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà, cita a sua volta un passo dal libro Our Bodies, Our Ourselves del Boston Women’s Health Book Collective nel quale vi è scritto: 

Immaginate una donna che cerchi di fare un lavoro e di avere un rapporto paritetico e soddisfacente con altre persone, ma intanto si sente fisicamente debole, perché non ha mai tentato di essere forte; esaurisce tutta la sua energia cercando di cambiare faccia, figura, capelli, odore, cercando di uniformarsi a qualche modello ideale stabilito dalle riviste, dai film, dalla televisione; si sente disorientata e si vergogna del sangue mestruale che ogni mese fluisce da qualche oscuro recesso del suo corpo; sente i processi interni al suo corpo come un mistero che viene a galla solo come fastidio (una gravidanza non voluta o un cancro cervicale); non capisce o non le piace il sesso e concentra le sue energie sessuali in romantiche fantasie senza scopo, strapervertendo e facendo cattivo uso della sua potenziale energia perché è stata educata a negarla. Se impariamo a capire, ad accettare, a essere responsabili della nostra identità fisica, possiamo liberarci da alcune di queste preoccupazioni e possiamo cominciare a fare uso delle nostre energie disinibite. L’immagine che abbiamo di noi stesse avrà una base più solida, saremo migliori come amiche e come amanti, come persone; avremo più fiducia in noi, più autonomia, più forza, saremo più complete.

Come affermano Jennifer Guerra, e Luce Irigaray prima di lei, bisogna creare uno sguardo femminile, un female-gaze, e fortunatamente nel XXI secolo qualcosa si sta finalmente muovendo. 


Fonti:

Luce Irigaray, Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, 1998. 
Jennifer Guerra, Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà, Edizioni TLON, 2020.
Alessandra Gribaldo, Giovanna Zapperi, Lo schermo del potere. Femminismo e regime della visibilità, Ombre Corte, 2012. 


Chiara Rotondo

Sogno sempre di essere dove non sono, per fortuna la letteratura mi aiuta a espandere i limiti dell’impossibile e renderli possibili. Virginia Woolf mi ha insegnato ad essere, Wislawa Szymborska mi ha insegnato a parlare, Carla Lonzi a camminare sulle mie gambe. Pratico il buddismo perché credo nel cambiamento. E scrivendo vorrei cambiare il mondo. Anche di una sola persona.

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