Le città sommerse sono luoghi in ombra, poco frequentati e scarsamente discussi; muovono e pulsano sotto la superficie degli skyline urbani, lontano dalle città che abbiamo attraversato, fotografato o sognato di vedere. Anche questo inserto vuole essere uno spazio periferico, una zona difficile da raggiungere, dove si rendono palesi i conflitti, le contraddizioni e i mutamenti che caratterizzano le società che abitano questi luoghi. Uno spazio ideale, ma radicato nella realtà.
Per questo esordio andiamo a Vienna, facendo un salto indietro fino agli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Un periodo schiacciato tra la violenza inaudita dei due conflitti, ricco di innovazioni sociali e dimenticato in virtù di una narrazione che mette il passato imperiale della capitale austriaca al centro della sua identità storica. Parliamo della Rote Wien, la Vienna Rossa.
Poco più di cento anni fa, dopo il Primo conflitto mondiale e il crollo dell’impero austro-ungarico, Vienna versava in una situazione socioeconomica e sanitaria drammatica. Circa il 60% della classe operaia di fatto non disponeva di un posto letto e la maggior parte delle abitazioni erano insalubri, poco illuminate e fredde. In questo contesto precario le malattie si diffondevano con molta facilità e il popolo era ridotto alla fame, contribuendo a dipingere uno dei quadri tra i più critici in quel momento in Europa.
In questo scenario, nella neonata repubblica austriaca il partito socialdemocratico (Sdap) entrò a far parte del primo governo interamente eletto, intercettando i malumori e sposando le rivendicazioni delle classi popolari del paese.
L’ambizioso piano di riforme sociali proposto dalla Sdap, tuttavia, passò solo in parte a livello nazionale a causa del mancato supporto delle altre forze di governo. Per questo motivo il partito decise di attuare a Vienna, forte di una solida maggioranza, le riforme impossibili da far approvare a livello statale. Nasce così la Vienna Rossa, un laboratorio di innovazioni sociali durato dal 1919 al 1934, anno in cui la capitale soccombe di fronte alle forze naziste.
Tra le prime politiche introdotte, l’amministrazione cittadina introdusse una legge di requisizione degli immobili sfitti, rendendo così disponibili quasi 45000 abitazioni a chi ne era privo. Dopo pochi anni, la città deteneva il più alto numero di proprietà immobiliari a Vienna. Furono anche istituite tasse su quelli che erano visti come beni e servizi di lusso, tramite un’ampia manovra fiscale che fu possibile perché Vienna era, ed è tuttora, sia città che provincia, condizione che la rende autonoma nella gestione della sua tassazione interna. Seguendo un principio di redistribuzione del reddito, i contributi raccolti furono destinati a finanziare un welfare sociale di base avanguardistico e rivoluzionario.
L’eredità più evidente di questo periodo sono i complessi abitativi costruiti durante quegli anni, alcuni dei quali prendevano i nomi di figure socialiste dell’epoca, il più famoso dei quali è senza dubbio il Karl Marx Hof. In quasi ogni quartiere, infatti, furono eretti nuovi insediamenti abitativi di edilizia popolare. La decisione di non concentrare questi interventi edilizi tutti in una zona (come è successo in molte altre città europee, spesso in aree periferiche) ci dice già molto della lungimiranza di quelle politiche abitative.
Ma c’è molto di più, questi nuovi complessi residenziali non erano solo abitazioni, bensì la cornice di vere e proprie infrastrutture sociali. Qui, infatti, vi si potevano trovare botteghe, lavanderie, biblioteche, asili, ambulatori, teatri e in alcuni casi piscine. Seppur questi complessi non avessero uno stile architettonico omogeneo (più di cento architetti collaborarono alla loro realizzazione) in ognuno di essi la qualità della vita, la salute dei suoi residenti e la vita di comunità erano messi al centro.
Il lascito di quel periodo storico non è tuttavia solo di stampo architettonico.
Il sistema abitativo introdotto in quegli anni ha ancora oggi una grande rilevanza, considerando che a Vienna circa il 60% dei residenti vive in alloggi di proprietà del governo o in qualche modo sovvenzionati da esso. Molti ricercatori e storici che si sono dedicati allo studio di questo periodo straordinario sostengono che una tale stagione di innovazioni sia di fatto irripetibile.
Il modello viennese, tuttavia, ha recentemente riscosso l’interesse di molti amministratori delle sempre più numerose città in cui i temi della scarsità abitativa e del diritto alla casa sono tornati prepotentemente all’interno dell’agenda politica. In questo senso è evocativo il caso di Berlino, che nel 2019 ha acquistato seimila appartamenti sottraendoli alle speculazioni del mercato privato e garantendo un prezzo dell’affitto calmierato, dimostrando di fatto come il modello viennese possa ancora parlare al presente.
Fonti:
Blumgart J., Red Vienna: How Austria’s capital earned its place in housing history, «CityMonitor», 30/12/2020, Ultimo accesso: 16/01/2022,
Harloe M., The People’s Home – Social Rent and Housing in Europe & America, BlackWell 1995
Mayr A., Vienna Rossa, Utopia Realizzata, «Il Manifesto», 27/07/2019, Ultimo accesso: 16/01/2022, https://ilmanifesto.it/vienna-rossa-utopia-realizzata/