Curatrice/Curatore: «Chi ha il compito di curare l’esecuzione o realizzazione di un’impresa, di un’iniziativa; chi cura l’edizione o la riedizione di un’opera».

Nel XXI secolo questa figura professionale è ormai ampiamente conosciuta e discussa ma, naturalmente, non è sempre stato così, motivo per cui ritengo possa essere interessante osservare due esempi che risalgono agli anni in cui si situa la nascita del mestiere del curatore.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il sistema dell’arte comincia a cambiare: assistiamo al progressivo affievolirsi di istituzioni artistiche monolitiche come i Salon e le Accademie – che fino alla fine dell’Ottocento ca. mantennero il controllo della legittimazione artistica, cioè il diritto di decidere quali opere d’arte erano di valore e quali no – le quali iniziarono a essere sostituite da una logica di mercato. In altre parole, all’inizio del XX secolo il mercato dell’arte divenne l’unico luogo in cui si poteva cercare legittimazione artistica e, conseguentemente, successo.

Parallelamente a ciò, si assiste a un altro fondamentale cambiamento che riguarda le forme espositive e, di riflesso, l’ingresso di nuovi attori nel sistema dell’arte. L’indebolirsi del sistema dei Salon e delle grandi mostre (dominante ancora nel XIX secolo) permette il fiorire di nuovi spazi espositivi più raccolti e intimi i quali, a loro volta, innescano la nascita di figure professionali come quella del gallerista, del critico e del curatore.

Tralasciando galleristi e critici – non per mancanza di affinità, bensì per focalizzarci sull’oggetto della nostra discussione – il mestiere del curatore nasce per la volontà di andare incontro all’offerta, di prendersi cura degli acquirenti e dei fruitori culturali. Infatti, fin dall’inizio si caratterizza per due funzioni: una, la più nota, è quella che concerne l’organizzazione artistica di un’esposizione e la proiezione della propria visione sull’intero allestimento; la seconda, meno evidente ma altrettanto importante, è la funzione di certificatore istituzionale : il curatore diventa cioè, assieme alle figure professionali citate poco sopra, il professionista a cui rivolgersi per ricevere delle garanzie sulla qualità delle opere d’arte cui si è interessati.

Oggi questa seconda funzione è passata decisamente in secondo piano, anche se è tuttora intrinsecamente connessa alla curatela d’arte: il nome di una curatrice o di un curatore importante costituisce ancora una garanzia sulla qualità della mostra che stiamo per vedere, dalla quale ci aspettiamo non soltanto che sia curata nei minimi dettagli e che sia facilmente leggibile, ma anche che ci mostri opere d’arte autentiche (fattore, questo, da non dare per scontato).

Ad ogni modo, è bene specificare che tale figura professionale fa il suo ingresso nel sistema dell’arte non in concomitanza con i mutamenti di inizio Novecento bensì attorno alla metà del secolo.

Uno dei primi curatori ante litteram della storia dell’arte occidentale lo si può individuare in Howard Putzel (1898-1945) – un eclettico esperto d’arte, gallerista e assistente – che dal 1943 assume una funzione vagamente curatoriale presso Art of this Century la galleria di Peggy Guggenheim (1898-1979) a New York.

Nonostante il ruolo di Putzel sia solo in piccola parte assimilabile alle mansioni che spettano oggi a un curatore, gli va riconosciuto un indiscutibile merito: sia nell’essersi preso cura di Peggy da un punto di vista professionale, sia nell’aver portato all’attenzione e alle cure di lei la corrente dei giovani artisti americani emergenti (n.d.r. l’Abstract Expressionism) che, prima di allora, non avevano trovato posto in nessuna galleria o museo di così larga fama.

Se, tra coloro che leggono queste righe, ci fosse qualcuno che si sta chiedendo quale collegamento ci sia tra le mansioni di un curatore e l’azione di Putzel, ecco qui una breve spiegazione: prima di tutto, come si è specificato già sopra, Putzel non incarna in toto la figura del curatore professionista ma fa sue alcune delle prerogative della curatela; in secondo luogo, l’atto di curare una mostra presenta forti affinità con quello di riconoscere il merito di giovani talenti. Infatti, la cura di una mostra prevede che si enfatizzino le opere e gli artisti che si ritengono migliori, lasciando in secondo piano, o addirittura in magazzino, chi non viene ritenuto degno. Putzel si può dire che abbia fatto lo stesso, perché portando all’attenzione di Peggy Guggenheim una specifica corrente d’arte, imprime una sua visione che si può considerare curatoriale, soprattutto negli effetti, perché a tutto ciò fa seguito una serie di acquisizioni, da parte di Peggy, delle opere dei giovani artisti americani che poi vengono esposte in una delle gallerie-museo più importanti del mondo occidentale, allora come ora.

Già con questo esempio si inizia a vedere in cosa consiste in nuce l’azione del curatore: mostrare la propria visione sulla storia dell’arte. Ma, proprio questa volontà di suggerire il personale punto di vista, corre il rischio di passare da un atto d’amore e di cura nei confronti dei fruitori culturali (in quanto i curatori sono portatori sani della credenza di star diffondendo il giusto verbo) a un’azione coercitiva, poiché si rischia di imporlo e non più proporlo. In tal senso risulta calzante l’esempio della prima mostra d’arte di respiro internazionale che presentò delle istanze curatoriali vere e proprie: Documenta di Kassel.

Questa famosissima esposizione mondiale d’arte apre i suoi battenti per la prima volta nel 1955, grazie al lavoro svolto da Arnold Bode (1900-1977) pittore, designer e insegnante d’arte e Werner Haftmann (1912-1999) storico dell’arte e critico i quali, se ancora non incarnano in toto la figura del curatore, mettono in atto una volontà curatoriale senza precedenti.

Quando Documenta nasce l’Europa poteva già contare su una serie di esposizioni internazionali d’arte – tra cui la sua storica rivale: la Biennale di Venezia – le quali seguivano tutte lo stesso modello organizzativo: sostanzialmente si trattava di EXPO, comprendenti una miriade di padiglioni dedicati ciascuno a una nazione, che esponevano il fior fiore delle proprie opere d’arte nazionali ma senza nessun tentativo di creare una narrazione che unisse gli uni con gli altri. Proprio per questi motivi Documenta è rivoluzionaria: Bode e Haftmann non solo hanno interrotto il sistema dei padiglioni ma hanno anche curato un’esposizione che veicolasse la loro visione della storia dell’arte. In sintesi, secondo i due fondatori la storia dell’arte seguiva uno sviluppo necessario che l’avrebbe condotta verso l’astrattismo e in cui il medium dominante era quello pittorico. È evidente che si tratti di una visione forte, che non si limita più alla proposta ma sfocia nell’imposizione della propria idea e nella conseguente esclusione di tutti quei movimenti (es Dadaismo) e artisti che non rientravano in questo sviluppo lineare. Ma, nonostante ciò, a mio parere, meritano di essere perdonati sia perché in quegli anni le funzioni curatoriali non erano ancora ben sviluppate, sia perché hanno dato vita a un’istituzione fondamentale per il mondo dell’arte.

Oggi il ruolo del curatore si è istituzionalizzato nella forma che ben conosciamo ma non per questo i fattori di cura, da un lato, e di imposizione, dall’altro, sono meno presenti in questa professione della quale, grazie agli esempi appena illustrati, abbiamo visto gli esordi.

[Articolo di Camilla Valentini]


Fonti:

Mantoan D., Appunti del corso tenuto presso l’Università Ca’ Foscari, aprile/giugno 2020.
Treccani: https://www.treccani.it/vocabolario/curatore/


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