MASSIMO è l’opposto di minimo.

Con questa frase MASSIMO  si presenta al suo pubblico, mostrando la forte spinta di indagine dei suoi tre fondatori, Stefano Galeotti, Giulia Parolin e Martina Rota. Uno spazio per l’arte contemporanea, che si pone l’obiettivo di fornire un ambiente in cui domanda e discussione siano gli elementi alla base della ricerca.

Giada Dellasantina li ha intervistati per Palin, raccontandoci la genesi del progetto e le sue caratteristiche.

Che cos’è MASSIMO?

MASSIMO è luogo di confronto, di sperimentazione, è un nome proprio di persona ma anche nome comune, un superlativo assoluto. MASSIMO è il nostro progetto, in grado di riunirci tutti e tre in un’unica voce. Siamo amici prima che colleghi. Nella nostra vita professionale abbiamo preso strade diverse e MASSIMO, in questo momento, è la strada che ci tiene vicini. È un attitude, un modo di pensare, uno spazio che nasce dall’esigenza di incontrare gli artisti in maniera ravvicinata e profonda, creando un rapporto il più possibile simile ad un’amicizia, con l’idea che possano avvenire degli scambi profondi e in completa libertà. 

Come vi prendete cura di MASSIMO?

La fase iniziale è stato un momento cruciale per porre le basi e per lavorare sulla qualità piuttosto che la quantità delle cose, e questo continua ad essere un nostro mantra. Ci interessa essere estremamente precisi in tutto quello che facciamo e che proponiamo. Una cosa che ci ripetiamo sempre è che MASSIMO è un’entità che ha dei suoi tempi, e questo ci spinge a metterci sempre in ascolto rispetto alle sue necessità. Cerchiamo di seguire i ritmi dei progetti che si susseguono, quando c’è da spingere spingiamo e quando dobbiamo rimanere indietro ci facciamo da parte. Infatti, il tratto caratteristico di MASSIMO è proprio che non ha un tratto caratteristico. La ricerca condotta nei primissimi passi e ciò che ne è risultato rappresenta quello che vogliamo trasmettere con lo spazio: non legarci al luogo di per sé ma legarci a dei principi precisi. Collaborare, conoscere, lavorare ed approcciarci ad una cosa con uno sguardo fresco e portare ‘al massimo’ il tutto. 

Dopo aver quasi concluso il primo anno di apertura di MASSIMO, quali critiche positive e negative, se ci sono, vi fate?

In questo momento per noi è importante non smettere mai di fare, di progettare. Siamo in continuo divenire, ancora in fase di osservazione, troppo dentro per poter dare una restituzione critica del nostro operato, ma sicuramente lo facciamo fra di noi. Il nostro punto di forza è proprio il trio in sé e per sé, un trio amicale, dove prevalgono la passione e la cura con le quali facciamo ogni scelta, anche se a volte questo significa sbagliare. Finita una mostra, c’è sempre un momento di briefing interno in cui ci chiediamo com’è andata, cosa poteva essere migliorato e cosa invece ha funzionato. Quello che ci portiamo a casa è la passione che mettiamo in ogni progetto. 

Una delle vostre ultime mostre è stata ‘SUPER-NATURAL, Until the end’, che vedeva sette artisti sudamericani in dialogo sul binomio natura e cultura.
In tal senso, dove e come trovate l’ispirazione per una mostra?

Fin dall’inizio non ci siamo mai preclusi nulla a livello di format. Ci chiedono spesso che cosa facciamo e che cosa esponiamo, e la nostra risposta è sempre ‘arte in cui crediamo’, e ciò può assumere diverse forme. A volte scegliamo noi, com’è successo per la prima mostra ‘Do you think this is the best way to start?’, in cui il tentativo era per lo più quello di rispondere ad una nostra urgenza. Altre volte, invece, ci focalizziamo di più su un artista e sul suo lavoro. È anche successo che le proposte venissero da fuori, com’è stato il caso dell’ultima mostra. Perciò, non ci precludiamo nulla a priori, seguiamo piuttosto quello che, sempre secondo il nostro punto di vista, in quel momento è più urgente far uscire.

E infine, quali sono i vostri futuri progetti?

La stagione espositiva del 2022 vedrà una serie di artisti approcciarsi allo spazio di MASSIMO attraverso modalità completamente opposte a quelle presentate fino ad ora. Se in un primo momento fondamentale è stato andare a definire i confini spaziali, facendoli spesso emergere, ciò che invece si cerca ora tende ad andare a stravolgere le forme usuali con le quali abbiamo spesso familiarizzato. Indubbiamente, le premesse di MASSIMO ci permettono di non avere grossi paletti. Ci piace sempre vedere cosa verrà dopo e quale sarà lo scarto rispetto a ciò che è stato fatto in precedenza. Quando pensiamo alle mostre vogliamo che la nostra idea di credere nell’arte senza legarci ad uno stile possa essere evidente, non c’è un elemento ricorrente ma ogni volta c’è un nuovo sentire, un nuovo artista che prende lo spazio e lo fa suo. 

Di Giada Dellasantina


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