Avere cura di qualcosa o qualcuno è un’azione che sperimentiamo ogni giorno, in modo diverso. Ma un’accezione troppo emotiva o ‘sanitaria’ taglia fuori altri professionisti della cura.
Il vocabolario Treccani online riporta la definizione della parola cura secondo il Thesaurus (2018). Ebbene, secondo quest’ultimo, le definizioni in realtà sono 7, perché ognuna rientra in un preciso ambito di significato: azioni, luoghi, cose, persone, relazioni. Esistono pochi esempi di cura: degli affetti, della propria persona, del lavoro, di qualcosa di prezioso. In senso più ristretto, invece, entriamo nel campo della medicina: la cura si direziona verso il miglioramento di salute di un individuo (o di un animale, anche).
Avere cura di qualcosa o di qualcuno appare, quindi, come l’azione innata di un essere umano tanto virtuoso quanto limitato al suo ambito di interesse (persone o cose, persone e cose). Il medico, al contrario, così come tutti coloro che svolgono professioni sanitarie, è mosso da un codice deontologico e dallo studio della scienza medica.
In questi anni di studio ho scoperto che essere un educatore sociale e culturale è considerata una professione di cura, al pari di altri ruoli professionali come il medico, ad esempio, nonostante gli ambiti di intervento siano nettamente separati. Non c’è alcuna possibilità che si mischino, ma possono coesistere per lo stesso individuo. Un soggetto senza fissa dimora, ad esempio, potrebbe dover subire un intervento medico per migliorare la sua salute fisica, mentre è inserito nell’ambito di un intervento educativo per il miglioramento della sua condizione sociale.

Eppure, nelle 7 definizioni che avete letto, l’unica professione che viene citata è quella del medico:
[…] 7. In senso più ristretto, la parola indica tutto ciò che serve a migliorare le condizioni di salute (la c. dei tumori; c. dimagrante; un nuovo metodo di c.; prescrivere una c.; seguire scrupolosamente la c.; una c. efficace, miracolosa; c. naturale, alternativa); una cura può quindi essere l’uso di un rimedio da parte di un malato (fare una c. di antibiotici) o anche la prestazione di un medico (avere un malato in c.; affidarsi alle cure di un medico).
Le precedenti 6 declinano una cura esclusivamente individuale, nei confronti di se stessi, la famiglia o qualcosa di materiale. Un individuo che ha cura di qualcuno, o più di qualcuno, si impegna per i propri affetti, per se stesso, per il lavoro o per qualcosa (inteso come “oggetto”) di soggettivamente prezioso. La cura, quindi, è un sentimento che tutti prima o poi proviamo all’interno del nostro personale cerchio della vita. Se uscissimo da quel confine?
L’unico esempio in cui viene citato un ruolo educativo è nel quarto scenario:
[…] 4. nell’insieme delle premure che si usano nei confronti di persone di cui si è responsabili (cure affettuose, materne; affidare i figli alle cure di un buon maestro).

Anche in questo caso, chi cura è una madre che affida i propri figli ad un buon insegnante. E quest’ultimo, invece, che ruolo svolge nella vita di questi ragazzi?
Nulla togliere all’importanza e alla realtà delle cure genitoriali per i figli, è bene ricordare che non sono le uniche attenzioni che i ragazzi (e gli adulti) riceveranno nel corso della loro vita. Cambia la responsabilità, cambia anche la cura.
La cura non è solo una buona azione che nasce dal nostro legame affettivo con il prossimo o dalla nostra empatia verso uno sconosciuto sfortunato, e non è la prerogativa di coloro il cui animo è devoto a qualcosa di trascendentale. È facile notare come una lettura esclusivamente emotiva di questo comportamento porta inevitabilmente alla classificazione del genere umano nella solita dicotomia buoni/cattivi.
La cura che esercita un educatore (al pari di quella di un medico), invece, è una vera e propria competenza, un costrutto personale complesso in continua evoluzione, che si affina continuamente con l’esperienza. È vero, come scrive Thesaurus, che è un’azione costante che impegna sia il pensiero sia le attività. La spiegazione della pagina di geografia sui fiumi e le regioni della penisola italiana è cura. L’ascolto attivo del racconto di un utente che frequenta servizi di riduzione del danno è cura. La consegna, di persona, di un referto medico specialistico è cura.
Anche l’atteggiamento empatico, ad esempio, tipico delle professioni educative, è una competenza che deve essere sperimentata ed esercitata perché il fine dell’educazione (non solo scolastica) sia efficace. Secondo Giovanni M. Bertin, che suggeriva di essere se stessi essendo l’altro, l’empatia è la conditio sine qua non per chiunque voglia svolgere professioni di cura.
Il punto è proprio questo: cura e atteggiamento empatico sono competenze che rientrano nella professionalità tanto di un educatore quanto di un medico. Entrambi, nel riconoscere i ruoli di ciascuno (se compreso) all’interno della relazione di cura con l’altro, sanno che l’affetto e gli interessi personali non sono fruibili, per mantenere la giusta distanza. Avere cura del proprio lavoro (da educatore o da medico) non significa, forse, aver cura della cura del prossimo, cui ci approssimiamo?
Fonti:
Manuela Gallerani, Prossimità inattuale. Un contributo alla filosofia dell’educazione problematicista, Milano, FrancoAngeli, 2012
Giovanni M. Bertin e M. Grazia Contini, Educazione alla progettualità esistenziale, Armando Editore, 2004
Vocabolario Treccani Online
Illustrazione in copertina di Claudia Corso
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