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Platone sosteneva che il nostro corpo fosse la prigione in cui l’anima è rinchiusa. Come costretti da chiodi siamo incarcerati nella nostra carne. E anche se la stessa carne può essere messa in cattività, all’anima la libertà non potrà mai essere sottratta del tutto.

Tale dottrina morale si fonda proprio su questa separazione platonica: siamo fatti di due entità forzatamente unite ma ontologicamente diverse, il corporeo e l’astratto, il mentale e il fisico, il materiale e l’immateriale. E anche la dottrina cristiana conserva, mutatis mutandis, quest’idea: l’anima del credente è immortale e sopravvive al corpo. E questa concezione non può essere accettata senza prendere come vera l’assunzione che a essa sta a monte: anima e corpo sono separati e differenti

Nella modernità questi concetti trovano una loro formulazione più influente e celebre nella dottrina della res cogitans cartesiana: res cogitans e res extensa sono sostanze differenti . Ed è sulla base della res cogitans, e quindi del pensiero, che si basa la tanto (forse troppo) citata e famigerata dimostrazione del cogito, con il conseguente emergere di alcune considerazioni. Innanzitutto, la egemonica predominanza del mentale (che potremmo definire l’erede contemporaneo del concetto di anima) sul corporeo. Il corpo, infatti, è stato carcere, fonte di peccati e origine di dubbi iperbolici. 

È abbastanza evidente come la storia delle idee umane sia piena di condanne morali e metafisiche del corpo e del mondo materiale in generale. Pure tra chi di filosofia e scienza sa poco o nulla, l’influenza di queste idee è forte ancora oggi. La cultura popolare contemporanea (per esempio musicale e cinematografica) trabocca di aforismi, versi e sentenze sulla supposta costrizione della mente, della coscienza o dell’anima a vivere intrappolata nell’intricato sistema di carne, ossa e liquidi che chiamiamo corpo. La più potente argomentazione a favore di questa idea è la sua compatibilità con l’intuito e il senso comune. Noi, in quanto coscienze, ci sentiamo come qualcosa di differente dal nostro corpo, che è solo un corpo tra altri corpi. E a prescindere da influenze e preconcetti, è facile capire il perché spesso ci sembri di essere scissi in due. La nostra auto-percezione pare comunicarci proprio questo. Inoltre come non riconoscere l’incredibile fascino della metafora platonica? La narrazione dualistica è carismatica. 

Tuttavia, oggi sappiamo che le cose sono molto più complesse di così. Fisico e mentale non sono pensabili come separati l’uno dall’altro

Le posizioni che abbiamo prima brevemente trattato oggi sono insostenibili. 

Mente e corpo sono in un perpetuo rapporto interdipendente, in una costante connessione che si influenza di continuo vicendevolmente. Per di più, se vogliamo essere un po’ provocatori, da un punto di vista evoluzionistico è la mente a essere comparsa in funzione del corpo, non viceversa. L’emergere della coscienza probabilmente non è null’altro che un metodo escogitato dal corpo per sopravvivere nella spietata lotta per la vita, sebbene non si sappia ancora di preciso come una cosa così incredibile sia potuta davvero accadere. Ma è accaduta.

Uno dei libri più chiari e comprensibili nello spiegare queste scoperte è stato scritto da Antonio Damasio, un gigante delle neuroscienze contemporanee. L’errore di Cartesio sostiene l’idea per cui sia molto diffuso sopravvalutare l’autonomia della mente nel suo rapporto col corpo. Convinti della centralità inamovibile della coscienza, non abbiamo dubbi nello stilare la annosa gerarchia che abbiamo vista predominare lungo l’intera storia delle idee. A dimostrazione della perpetua influenza reciproca di mente e corpo, è sufficiente pensare a quello che accade quando ci proiettiamo in una situazione futura che ci suscita forti emozioni. Nel momento in cui viviamo mentalmente quella situazione, nel nostro corpo avvengono moltissime reazioni chimiche causate da quell’immagine mentale. Similmente, quando ci troviamo in difficili situazioni fisiche, per esempio siamo molto affamati, questo avrà fortissime ricadute sul nostro mondo interiore e mentale. Spesso la tristezza è collegata a problemi fisici, e molte depressioni sorgono, anche se può sembrare un controsenso, dal corpo. 

In tutto questo, che cosa c’entra la cura? Beh, quando si pensa al prendersi cura di qualcuno, possedere la consapevolezza di questa interdipendenza è molto importante. Siamo mente e corpo. Non vi è alcuna gerarchia, perché non vi è alcuna separazione, non vi è alcuna scissione. E proprio per questo, è necessario non trascurare nessuna delle due facce che ci compongono. In particolare quando dobbiamo prenderci cura di noi stessi. Il benessere individuale passa necessariamente da questa consapevolezza, anche se essa stride con il senso comune. Dobbiamo superare l’errore di Platone e di Cartesio, nonostante il fascino della loro visione, perché solo così impareremo davvero a prenderci cura di noi, e a prenderci cura di tutte le sfumature, materiali e immateriali, che quel noi comprende.

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