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Dopo l’ottimo esordio con Configurazione Tundra (Tunuè, 2020), torna in libreria Elena Giorgiana Mirabelli, stavolta con una novella, Maizo, pubblicata dall’editore Zona 42 nella bella collana 42Nodi, dedicata alla narrativa di media lunghezza e curata da Chiara Reali.

Mitja quando dorme stende le gambe, intreccia le mani sul petto e non si muove. Mugugna, si lamenta, a volte il respiro si blocca e allora allarga di nuovo le gambe. Eco, invece, sta sul fianco e strofina sempre i piedi, porta le mani sotto la guancia e ha gli occhi socchiusi. Clio non dorme, cerca di mantenere vivo il fuoco; mi accarezza e controlla che le mie scorte di foglie verdi non siano finite.

Mitjia, Eco e Clio restano impressi nella mente del lettore e si fatica ad abbandonarli mentre muovono verso la libertà. Vogliono raggiungere una collina dove si terrà la Cerimonia, e in tale occasione, secondo la leggenda, potranno realizzare ciò che vogliono.

Da Configurazione Tundra Mirabelli si porta dietro un’ambientazione che opera nel distopico, focalizzando la narrazione sui personaggi e sulle loro voci. E lo fa con uno stile che alimenta un flusso costante di immaginario dirompente, sebbene addomesticato.

Il buio è il suono di mandibole che mordono a vuoto. Di una furia che ha l’odore di bosco e umido. Corriamo verso le siepi, oltre il ponte di legno e corda e cerchiamo riparo sugli alberi. I cinghiali strappano le sacche, affondano il metallo. Hanno le zanne lunghe e sporche […] la paura è il pezzo di realtà che ha l’odore degli istinti e della fame.

Il linguaggio della Mirabelli rivela un’attenzione al post-umano e alle trasformazioni ipermoderne di pezzi inanimati, a volte metallici, posseduti da energie vibranti e corporali, pur utilizzando come filtro della realtà un medium più puro e quasi neutro: una tartagura, Maizo, che racconta la storia.

Quel giorno ha capito che le percerzioni hanno un funzionamento diverso per ciascuno, che per alcuni la realtà è un frammento sbiadito e per altri è brillante; che per alcuni un albero è solo corteccia e foglie verdi, il cielo ha solo tre tonalità di azzurro e per altri è un insieme di colori sconnessi e inariditi; Mitjia ha capito che per lui la realtà è contemporaneamente inerte e vitale, che esistono tante tonalità di azzurro a seconda della posizione assunta nello spazio, a seconda del sole, dei venti, della pioggia; che esistono tante sfumature e che tutte partono dal suo corpo, da ciò che sente, da come riverbera ai toni di sua madre, dei suoi amici, del mondo tutto.

Nei suoi meccanismi di indagine e di giudizio, Mirabelli è capace di cogliere il senso più autentico della verità umana. E questo è possibile tramite i giochi di equilibrio che la sintassi stessa costruisce sul senso logico e assoluto della parola: una lingua che guarda con estaticità le cose, smascherando le meschinità nascoste di una facciata. Come se ogni parola fosse solo una combinazione di colori e cromie a cui le sinapsi dietro gli occhi rispondondo, come se avessero un sapore che stimola le papille gustative della lettura.

Tutte le percezioni per Mitjia sono significative. Non seleziona pezzi di realtà, la realtà entra tutta nella sua testa, in ogni istante. A volte crede che quei ricordi e le immagini sonore, olfattive, uditive e gustative arrivino da un luogo lontanissimo nel tempo, fatto di storie familiari, biologia, culture stratificate e ammassate nella sua testa. Mitjia punta il dito sulla tempia destra e dice: – qui ci sono tutte le storie del mondo.

Elena Giorgiana Mirabelli scrive un’incantevole novella sulla libertà negata e da conquistare, sul senso della magia infantile e su un mondo adulto che abusa e schiaccia la bellezza della vita intesa come scoperta dell’altro; e lo fa mostrando un immaginario caleidoscopico fatto di leggerezza e sguardo sui corpi.

Il valore delle proprie idee nel mondo, ci dice Mirabelli, può costituire un primo utensile importante per cambiare ed evadere, al fine di sentirsi incredibilmente più leggeri, perché più liberi.

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