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#Bootleg è l’angolo di Palin Magazine dedicato alla musica. Arricchito di mese in mese da tematiche, artisti e storie e collegato a una playlist, è lo specchio musicale del magazine. Perché sì, anche la musica è cultura e possiede un linguaggio universale, di cui Palin non ha potuto fare a meno.

[Di Massimo Salvati e Salvatore Bruno]

Dario Brunori, in arte Brunori SAS.
Un cantautore, e uno di quelli che hanno contribuito al far sì che la parola poetica entrasse prepotentemente nei testi delle canzoni popolari. Un «canzoniere italiano fatto di brani semplici e diretti», recita il suo primo album del 2009, Vol. 1. Semplici. Diretti. Questi sono i primi due aggettivi che caratterizzano i testi brunoriani. Ma con gli anni se ne sono aggiunti altri: il tema sociale, la migrazioni, la questione degli ultimi, delle periferie, della società liquida, della speranza per quelli che arriveranno.

Una ricerca di struttura e poetica sembra caratterizzare il lavoro dell’autore calabrese, insieme a quella volontà di mantenere, attraverso la musicalità, un ancoraggio forte alla tradizione della divulgazione. Infatti, come recita un suo famoso testo:

Secondo me ci siamo troppo imborghesiti
Abbiamo perso il desiderio
di sporcarci un po’ i vestiti
Se canti il popolo sarai anche un cantautore
sarai anche un cantastorie
Ma ogni volta ai tuoi concerti
non c’è neanche un muratore

Nel momento in cui diventa sempre più importante avere uno sguardo sulla realtà che ci circonda, soprattutto di quelle realtà di cui troppo poco si parla, le canzoni di Brunori sembrano restituirci una cornice antropologica, una visione su un contesto.
E quel contesto si chiama Calabria.

Guardia ’82Anni ’80, falò in spiaggia e Supersantos.

La spiaggia di Guardia rovente
era piena di gente,
si parlava di sport,
di Pertini e Bearzot…

Per molti gli anni ’80 sono qualcosa di meramente narrato, per molti altri che li hanno vissuti quelli sono anni ricchi di leggende e simboli.
No, nulla di esoterico. Le leggende erano il gol Paolo Rossi, la storica maglia numero 20 della nazionale, e l’Italia campione ai mondiali di Spagna; i simboli, il presidente partigiano Pertini e la silhouette dello storico allenatore della Nazionale con la pipa, Bearzot. Simboli di identità per una generazione intera e che significano voltare pagina nella Storia e guardare al futuro.

La spiaggia di agosto è rovente come gli anni che il Bel Paese si lascia indietro: i ’70 sono stati gli anni di piombo, proteste, periodi di stragi e sequestri, eventi di stampo mafioso, oltre ad aver lasciato una nazione intera affamata di rivalsa che necessita di quelle leggende e quei simboli come motivo di rinascita.
E tutti, anche in quella Calabria spesso lontana dai grandi eventi, celebrano con i propri corpi in spiaggia quegli anni davanti ai falò, auto da fé nei quali bruciare, quasi in un moderno rito laico e popolare, tutto ciò che dell’immediato passato deve essere sacrificato in funzione della nuova rinascita. Si beve Peroni in lattina e si gioca con i Supersantos, si canta a squarciagola suonando la chitarra, mentre un ragazzo fabbrica castelli di sabbia e scopre il suo primo amore all’ombra della Storia.

Da quella placida spiaggia della costa tirrenica calabrese passa l’amore di un ragazzo, ma anche la Storia di una nazione. «Una storia che nasce e un’estate che muore».
Un inno generazionale, la canzone brunoriana per eccellenza.

Rosa. Partire per lavoro, varie ed eventuali

Che qui in Calabria non c’è niente, proprio niente da fare
c’è chi canta e chi conta e chi continua a pregare

Quanti calabresi hanno lasciato la loro terra per lavoro?
Sarebbe una domanda a cui rispondere sarebbe facile come tentare di scalare l’Everest a mani nude.
Se per questa domanda ogni calabrese desse un’occhiata nel proprio parentado, o più semplicemente si guardasse intorno tra amici e conoscenti, si troverebbero numeri diversi che, se sommati, danno cifre enormi. Più che un assioma è una reale constatazione della perenne situazione in cui si trovano a vivere la Calabria e il Sud Italia in generale: da recenti statistiche, pare che oltre 5000 calabresi migrino ogni anno verso il Centro-Nord Italia e il resto dell’Europa, molti dei quali con una cultura medio-alta; cervelli in fuga, si direbbe. Senza contare l’alto tasso di dispersione scolastica per i ragazzi sotto i 18 anni, spesso tradotta in manovalanza per industrie delle grandi città, in passato come nel presente.

In quanti si trovano nel precariato da anni e decidono di punto in bianco di cercare fortuna altrove, talvolta reinventandosi e cambiando addirittura lavoro? Molti di questi decidono di ripercorrere il loro ‘pellegrinaggio laico’ in media una volta all’anno, giusto per non spezzare il cordone ombelicale con la terra madre e con la speranza di riuscire un giorno a ristabilirsi lì. Altri, chissà.
Intanto, San Francesco è sopra il letto e sul cruscotto c’è la madonna di Pompei.

Dario Brunori nel Villaggio Globale di Riace durante il Riace in Festival del 2019. Foto di Valeria Fioranti

Al di là dell’amore. A Riace, colpa del vento

Il soffio del vento
che un tempo portava il polline al fiore
Ora porta spavento,
spavento e dolore

È la notte del 1 luglio 1998 quando, sulla costa di Riace, piccolo centro della Locride, approda un veliero di 35 metri sul quale viaggiano 184 migranti, esattamente 66 uomini, 46 donne e 72 bambini; tutti curdi di nazionalità irachena, turca, iraniana e siriana. Per quella traversata a bordo di una «carretta del mare», i trafficanti hanno intascato 4000 marchi a testa per poi abbandonarli in balìa delle onde e del caso. E del vento.

E così, in quel tratto di mar Jonio calabrese nel quale, nell’estate di 26 anni prima, sono stati rinvenuti i celeberrimi Bronzi, inizia la storia che porterà Riace e quindi l’allora sindaco Mimmo Lucano a scrivere una nuova pagina nella storia dell’accoglienza e della Calabria, alla periferia di un’Europa incapace nei fatti di trovare soluzioni alla gestione della crisi migratoria.

«È stato il vento» risponde Mimmo Lucano parlando della vicenda. Un sindaco che da allora in poi sacrificherà il tempo, la reputazione e gli affetti pur di non tradire i suoi ideali di accoglienza e solidarietà verso il prossimo in una terra difficile come la Locride, spesso mediaticamente associata al malaffare della ‘ndrangheta, che negli ultimi due decenni ha assistito alla nascita del ‘Modello Riace’, divenuto famoso in tutto il mondo, e di come potesse far rifiorire un paese e una terra intera.

Lo stesso Mimmo Lucano ‘fuorilegge’, ‘capatosta’ e voce sempre fuori dal coro, negli ultimi anni ostracizzato e messo ai domiciliari per vari capi d’accusa – poi decaduti – con provvedimenti orchestrati dall’ondata nazionalista e populista. Un sindaco vittima di un processo montato a sfavore di lui e della «macchina della solidarietà» alla quale aveva dato vita e che aveva ripopolato e dato nuova linfa alla sua Riace. Funzionando.
Anche grazie a chi, venendo dal mare, ha ritracciato il confine tra il bene e il male.

Lamezia Milano. Provincia e città, trova le differenze.

Con la metropoli che ancora incanta
e la provincia ferma agli anni Ottanta

Il Sud sta al rétro come il Nord sta alla modernità.
Al di là di visioni secessioniste e pregne di campanilismo, se servisse un nome per racchiudere questa equazione, Lamezia-Milano sarebbe il più azzeccato.
Una località nota per essere il principale snodo aeroportuale e ferroviario calabrese il primo, la città più ricca e ambita d’Italia il secondo. Due mondi e due modi che si compenetrano e diventano specchio di un’Italia a doppio binario. Da un lato Milano, meta di tantissimi in cerca di generica fortuna ancora oggi, complici le varie possibilità che offre; dall’altro Lamezia, una Calabria in costante ricerca di riscatto, un luogo di continue partenze e arrivi su e giù da quel Nord tanto agognato quanto accolto mai appieno.
La città spesso si sogna e si immagina come una terra promessa. Quante volte si è visto un lupo della Sila fra i piccioni del Duomo?

Foto di Tycho-Creative Studio

Il giovane Mario. La fabbrica degli eroi.

Amore mio dolcissimo
non ti devi preoccupare
Io sono un grande giocatore
e troverò il sistema anche per vincere la fame

Nell’ultimo anno, la pandemia da Covid-19 ha fatto sì che molte aziende e fabbriche chiudessero, piccoli imprenditori fossero costretti a licenziare i propri dipendenti e venissero decimati settori interi, riducendo al lastrico famiglie intere che ora si ritrovano a fare i conti con la miseria. Così anche al Sud, in Calabria, nella regione più povera d’Italia.

Basti pensare, ad esempio, al settore turistico e a quello alberghiero, due settori sui quali la Calabria punta maggiormente: pochissimi turisti, altrettante entrate. Ma basti solo pensare a come, già prima della pandemia, la regione dovesse fare i conti anche con altri fattori e altri problemi, come la malasanità e il tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa. Un mosaico di disagio sociale dalla difficile trama.

Ed ecco che in uno scenario così vivono eroi silenziosi, padri di famiglia come il giovane Mario, supereroi dei tempi moderni costretti a sacrifici enormi pur di sfamare una famiglia intera che spesso poggia solo sul suo salario. E le tasse, le cambiali, gli assegni? Qualche attività per i bambini, qualche piccola spesa extra? E la fame?

Le quattro volte. Ribellarsi alla ciclicità della vita. E rinascere, se ci va.

Devo solo arrivare alla quinta elementare
per diventare grande grande come mio padre
Metterò il grembiule e imparerò a volare
e scriverò poesie d’amore soltanto per mia madre

Quanto è bello quando si sentono in tv o si leggono storie di persone che hanno mollato tutto e hanno seguito le loro passioni, rischiando il tutto per tutto?
Bello tutto sì, ma emergere in un contesto spesso difficile come quello calabrese, dove la vocazione artistica fa a botte con una realtà spesso troppo schietta, rende gli artisti degli autentici outsider. Non che in altre parti d’Italia sia diverso, poi!

Calabria terra di santi in processione, sagre di paese e poca voglia di contemporaneo. In alcune terre, fare l’artista è essere rivoluzionari contro la ciclicità degli eventi, la comunione così come le sagre di paese, mettersi in gioco accogliendo l’imprevisto e l’ignoto più che altrove. Proferirsi artisti è il minimo atto dovuto.

Maddalena e Madonna. Amori che vengono, amori che vanno.

… e c’erano dieci vagoni
duemila terroni al binario 3
valigie e borsoni
e dai finestrini lo sguardo d’amore più triste che c’è
gente del Sud stipata sui treni,
sorrisi e canzoni e la voglia di andare ancora

C’è chi parte e chi ritorna. E chi riparte. Amore-odio e nostalgia.
Verso la propria terra come verso un amore.
C’è da immaginarsi su un treno vista mare, magari il Tirreno, visto tante volte da un finestrino e a velocità sostenuta per i tanti viaggiatori in partenza dalle stazioni calabresi.
Taccuino in mano e pensieri in testa, in mezzo a tanti viandanti e viaggiatori, borsoni e valigie sempre troppo piene in vagoni sempre troppo stretti.
Chi nasce in un luogo da cui è spesso destinato a partire, nasce nostalgico e nostalgico rimane, a tratti fatalista. In qualunque aspetto della vita.

Si può guardare a una terra attraverso i brani e la musica di un cantautore?
Chiediamolo a Brunori.

La Brunori SAS Band nel backstage del palco del 1 maggio 2018 a Taranto. (dal profilo Facebook ufficiale di Brunori SAS)

Link playlist su Spotify

Qui l’ultimo album di Brunori SAS

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