Il paradosso ‘case senza persone – persone senza casa’ è senza dubbio tra le grandi contraddizioni del nostro tempo. Il caso di Riace è riuscito a scardinare questa dicotomia, mostrando il potenziale ruolo dei piccoli borghi italiani, oggi rivalutati alla luce della pandemia.
Il sociologo John Holloway, nel suo libro Crack Capitalism, usa una metafora suggestiva per indicare un’alternativa alla visione rassegnata al dominio del paradigma neoliberista. L’autore parla di una stanza le cui quattro pareti lentamente avanzano verso il centro, rimpicciolendosi lentamente. Coloro che sono all’interno si dividono tra chi discute su come disporre l’arredamento e chi si concentra sul trovare delle fessure e degli spiragli nelle mura, cercando di individuarli per poi allargarli. Stando ben attenti a non cadere nel romanticismo della lotta o nell’utopia, seguire l’appello di Holloway, concentrandosi quindi sull’agire (e reagire) umano in un mondo che appare dominato da forze incontrollabili e deterministiche, può rivelarsi un utile esercizio intellettuale nonché un’ottima pratica quotidiana. La Riace che Mimmo Lucano ha contribuito a creare si avvicina molto a questo concetto, coniugando il resistere al reagire, trovando le fratture nei muri per poi trasformarle in porte.
L’ex sindaco di Riace, infatti, ha risposto a fenomeni globali tramite piccole azioni locali, cercando di raggiungere quella che lui stesso ha definito una «utopia della normalità». Il borgo calabrese si è proposto come un esperimento di innovazione sociale nato dalle contingenze del nostro tempo, mettendo in campo politiche sociali e di accoglienza ora studiate in tutto il mondo. Lefebvre avrebbe probabilmente definito il borgo calabrese in questione un’ eterotopia, «uno spazio dell’altro» vale a dire uno di quegli «spazi liminali ricchi di possibilità» originati da una forma auto-organizzata di partecipazione. Questo tipo di spazi rimettono in discussione il concetto di diritto alla città – in questo caso diritto al borgo – teorizzato dall’autore francese, percorrendo la logica della riappropriazione dei luoghi e della loro autodeterminazione. Ciò che colpisce del caso di Riace è il modo in cui si sia riuscito a scardinare la dicotomia urbano-rurale, centro-periferia, rendendo quel piccolo borgo una periferia al centro del mondo, trasformando una comunità rurale sempre più svuotata e isolata in una società complessa e poliglotta.

Si potrebbero dare diverse chiavi di lettura del modello Riace, o focalizzarsi su diversi esempi virtuosi emersi grazie al lavoro di Lucano e dei suoi collaboratori. Quello su cui si prova interesse a soffermarsi, tuttavia, è il modo in cui due temi apparentemente distinti (ma in realtà profondamente connessi) come il sottoutilizzo del patrimonio immobiliare e i flussi migratori siano stati combinati nella pratica risultando in una soluzione da prendere ad esempio.
Per contestualizzare meglio questi fenomeni è necessario allargare un attimo il focus. Uscendo dal borgo e guardando alla Calabria, si scopre che è la regione con il più alto rapporto case vuote-abitanti, con 450.000 abitazioni vuote all’attivo. Questi dati risultano ancora più inaccettabili se si pensa che la regione in questione è la stessa in cui si trova l’insediamento informale di San Ferdinando, dove le persone vivono in condizioni inammissibili e rischiose. Se allarghiamo ancora l’obiettivo e lo puntiamo sull’intero stivale, ritroveremo le stesse contraddizioni accompagnate dallo stesso paradosso: case senza persone e persone senza casa. Si stima infatti che in Italia siano circa sette milioni le case vuote, più o meno un quarto del patrimonio immobiliare complessivo. Le ragioni di ciò sono diverse, e variano da contesto a contesto. Tuttavia, è possibile delineare almeno due tendenze ricorrenti. Nelle grandi città, in molti casi, la speculazione edilizia e la pressoché inesistenza di una politica per l’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) creano le condizioni per un patrimonio immobiliare inaccessibile e quindi sottoutilizzato. Nei borghi e nelle aree rurali, invece, le case sono vuote a causa dell’esodo verso le città, dove si spera di trovare servizi e opportunità assenti nelle realtà che ci si lascia alle spalle.

Nell’attuale fase pandemica si sente spesso parlare di un’inversione di tendenza, di un ritrovato bisogno dello spazio, del verde, della natura, e di un nuovo interesse verso le aree rurali e montane del territorio. Negli oltre cinquemila piccoli comuni italiani una casa su tre è vuota, e già molte regioni e amministratori si stanno operando per attirare nuovi abitanti. La direzione sembra essere quella di puntare sulla flessibilità del mondo del lavoro e sullo smart working, rivolgendosi quindi ad un determinato target della popolazione appartenente a una classe media con un certo potere di acquisto, probabilmente già in possesso di un’abitazione in un’area urbana, e attirata dal paesaggio e dai vantaggi dell’area pulita. Se ci si muoverà in questo senso, tuttavia, l’occasione per contribuire a ridurre la forbice tra case vuote e abitanti, nonché la forbice delle diseguaglianze sociali, verrà ancora una volta sprecata. Non basta riempire le case ma serve, come ci insegna il caso di Riace, avere una visione per questi luoghi abbandonati che rimetta al centro la comunità e l’economia locale. In tal modo sarebbe possibile garantire una vita dignitosa e gettare le basi per la costruzione di una collettività ritrovata, stimolata da chi davvero ha bisogno di un tetto e si trova in difficoltà economica.
Mai come oggi, un tempo in cui il dibattito sul futuro dei piccoli comuni è attivo, il caso Riace va discusso e compreso, partendo dagli ideali che lo hanno mosso e che, implicitamente, hanno messo in evidenza le contraddizioni di un sistema economico che genera case vuote e senzatetto.
Fonti:
John Holloway, Crack Capitalism, Palgrave Macmillan, 2010.
Henri Levebvre, La révolution urbaine, Editions Gallimard, 1970.
Mimmo Lucano, Il fuorilegge: La lunga battaglia di un uomo solo, Feltrinelli, 2020.
Laura Cavestri, Recuperare i borghi d’Italia può valere 2 miliardi, «Il Sole 24 Ore», 31/08/2020
Alberto Ziparo, Case vuote abbandonate al degrado, la soluzione è il riuso sociale, «Il Manifesto», 16/02/2019
Alberto Ziparo, Un paese di case vuote. Un quarto del patrimonio abitativo è sottoutilizzato, «Il Manifesto», 2/09/2017
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