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Uno dei problemi politici più grandi del IV secolo a.C. solleva un interrogativo attuale: è più reazionario chi avversa l’inevitabile o chi ribalta un modello passato per costruirne uno inedito?

Se la grecità costituì un vessillo in età arcaica e classica, le carte avrebbero iniziato a mescolarsi nel pre-ellenismo[1] con l’ascesa di Filippo (fig.1, nell’illustrazione dell’arch. Panaiotis Kruklidis) al trono di Macedonia nel 360 a.C.. Non il suo debutto, ma di sicuro l’inizio di un grosso affare, la rivalità con Atene, ormai eclissata nel microcosmo delle città-stato: dopo lotte, episodi di diplomazia e persino una pace, Filippo intraprese l’inevitabile guerra, ma Atene non fece nulla per impedire la sua avanzata. A nulla servì la ribellione: Filippo sbaragliò gli Ateniesi e i complici Tebani nella battaglia di Cheronea del 338 a.C..

Sono questi i prerequisiti che servono – almeno in questa sede – per immergersi nella ristretta schiera di voci che fino alla fine si oppose al dominio, non velleitario e ormai fattuale, del crudele, barbaro, violento Filippo.

Demostene (fig. in copertina, nella rappresentazione del pittore ottocentesco Eugène Delacroix), ateniese e di famiglia facoltosa, oratore per antonomasia, non si stancò mai di sostenere la sua democrazia: ad Atene il destino aveva assegnato un ruolo, che al suo tempo era minacciato da un tiranno «nemico della libertà»[2].

La sua reazione a un dominio inevitabile e a una grandiosa evidenza fu però assai singolare: egli sognava non il potere della Grecia tutta, ma il ripristino dell’Atene egemone. Le Filippiche pronunciate contro il suo avversario risultano dunque più la testimonianza di un nostalgico parolaio, una «true lie»[3], che una fonte storica senza diaframmi.

C’è da dire che le posizioni dell’oratore ateniese non furono sempre le stesse: se in un primo periodo egli promosse istanze pacifiste, tuttavia non andò mai nella direzione di una conciliazione totale.

La definizione di bàrbaro (lat. barbarus, da gr. βαρβάρος) sintetizza la ‘geniale’ invenzione greca per designare l’altro, uno straniero per due volte e per questo in simmetrica antitesi rispetto all’uomo greco. Essa costituisce uno dei pilastri della reazione demostenica, contestuale alla valorizzazione dell’imperialismo ateniese: per lui Filippo «non solo non è un greco e con i Greci non ha niente a che fare, ma non è nemmeno un barbaro di un paese da dove è bello dire di essere originari, ma è un maledetto macedone (ὀλέθρου Μακεδόνος), di un paese da cui un tempo non si riusciva a comprare neanche uno schiavo decente!»[4].

La sua resistenza si fece espressione di un grande ‘a priori’: Atene e Sparta – immeritevoli, perché incapaci di gestire il proprio possesso – sarebbero comunque state un’alternativa migliore rispetto a quello «schiavo o figlio scambiato» (δοῦλος ἢ ὑποβολιμαῖος) che è Filippo. I Macedoni però, pur memori della precedente condizione schiavile, erano i nuovi ricchi e Demostene sembrava ignorare tutti i cambiamenti a cui la Grecia era andata incontro nel corso di un secolo.

Resta, la sua, una coscienza dei valori antichi e la strenua difesa della democrazia: ma sui piatti di una bilancia pesa di più un sogno passatista o un rischio all’avanguardia? Quella di Demostene fu davvero reazione o soltanto il tentativo di ripristinare qualcosa di astorico, senza valore di circostanza?

Un filone della critica ha riconosciuto a Demostene, al di là della qualità innegabile in fatto di oratoria, una linea d’azione giusta[5], ma inapplicabile per la forza dell’avversario. La scuola tedesca ha posto l’accento sull’impatto negativo di un’opposizione inutile, ostacolo all’unificazione del mondo greco e all’eliminazione del particolarismo delle città-stato.

Gli antichi – si sa – sono stati maestri, se non di ideali, almeno di interrogativi sostanziosi. E la vicenda del Demostene che Drerup definisce un miope, richiama alla memoria un grande problema: quando si reagisce, si è più illusi o idealisti? La risposta è complessa, individuale, troppo poco univoca per dare a questa brevissima trattazione la parvenza di un finale chiuso.

È forse una questione di adesione a paradigmi più o meno consolidati dell’eroe-reazione, che pure va storicizzato: il ribelle del IV secolo è sicuramente Filippo, che propone/propina un modello inedito e migliorante (un modello antitirannico secondo i filomacedoni Diodoro, Speusippo ed Isocrate); ne consegue che chi non sia disposto a lasciare il presente nel passato, sta sacrificando le proprie intenzioni in una battaglia persa in partenza. Dunque Demostene incarna in sé la sincerità di un eroe romantico portatore di sentimenti e ideali collettivi; ma l’altra faccia della medaglia è un’incapacità di fondo di dare ascolto alla storia.

Se Demostene fu promotore di una reazione alla novità (Filippo), era un ribelle o un conservatore illuso? Un ribelle o un conservatore idealista? In sostanza: guardò più al passato o al futuro della sua Atene?

Ai posteri l’ardua sentenza.


Fonti:

[1]Si intenda la periodizzazione canonica lato sensu e si assuma l’inizio dell’ellenismo coincidente con la morte di Alessandro Magno (323 a.C.), secondo la definizione di Droysen.
[2]G. Squillace, L’ultimo intervento di Filippo II in Tessaglia nella propaganda macedone e antimacedone, Milano, Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, 2000.
[3]G. Mader, Fighting Philip with Decrees: Demosthenes and the Syndrome of Symbolic Action, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2006.
[4]Demosth. 9. 31.
[5]Tesi di H. Schaefer.

Guido Cortassa (cur.), Demostene. Filippiche, Garzanti, 1996.
Francesco Lamendola, Demostene il megalomane
Gottfried Mader, Fighting Philip with Decrees: Demosthenes and the Syndrome of Symbolic Action, in «The American Journal of Philology», Autumn, 2006, Vol. 127, No. 3 (Autumn, 2006), pp. 367-386
Manuela Mari, Bastardi senza gloria. Filippo II e i Macedoni in Demostene IX 30-31, in M. Capasso (cur.), Cinque incontri sulla cultura classica, in «I Quaderni di ‘Atene e Roma’» 5, 2015, 117-133.
Antonietta Porro, Walter Lapini, Claudia Laffi, Letteratura greca. Storia, autori, testi. L’età classica., Loescher, 2017
Giuseppe Squillace, L’ultimo intervento di Filippo II in Tessaglia nella propaganda macedone e antimacedone, in «Aevum», Gennaio-Aprile 2000, Anno 74, Fasc. 1 (Gennaio-Aprile 2000), pp. 81-94

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