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Palin parla con Lorenzo Balbi, direttore artistico del MAMbo, il Museo di Arte Moderna di Bologna. 

Il settore artistico rientra tra quelli più duramente colpiti dalle misure anti-Covid19. Ed è in questo clima che, insieme a teatri e cinema, anche i musei hanno reagito reinventandosi e proponendo soluzioni alternative di fruizione grazie alla capacità organizzativa di chi ci lavora.

Krizia Di Edoardo ha intervistato Lorenzo Balbi, direttore artistico del MAMbo – Museo di Arte Moderna di Bologna.

È da più di un anno che conviviamo con la pandemia da Covid-19. In che modo i musei, in particolare il MAMbo, hanno reagito?

Più di un anno fa la situazione di emergenza ci ha colto alla sprovvista. A febbraio avevamo appena inaugurato una mostra collettiva dal titolo AGAINandAGAINandAGAINand, quando Emilia-Romagna, insieme a Veneto e Lombardia, vennero chiuse per un primo lockdown. Non era mai successo niente di simile in 45 anni di attività del museo, per cui ci siamo trovati a far fronte a una situazione del tutto imprevista e imprevedibile da un giorno all’altro.
In quella prima settimana abbiamo deciso subito di reagire tentando di rendere i contenuti della mostra che avevamo in atto fruibili al pubblico: abbiamo quindi deciso insieme all’artista islandese Ragnar Kjartansson, nonché protagonista con la sua opera Bonjour nella sala centrale del MAMbo, di proporre uno streaming live di quell’opera sui canali social del museo, quasi a permettere di sbirciare dal buco della serratura e avere la possibilità di ingaggiare nuovi pubblici, mantenendo viva l’attenzione sulla mostra (2 minuti di MAMbo 17. Ragnar Kjartansson).

Dopo una piccola riapertura, abbiamo dovuto chiudere in modo perentorio e senza un’aspettativa di breve durata. A quel punto abbiamo adottato una seconda linea di reazione: 2 minuti di MAMbo in lockdown, un nuovo format di brevi video, appunto di 2-3 minuti, massimo 3 e mezzo, simbolicamente dal martedì alla domenica, giorni di apertura del museo. Questi brevi erano orientati secondo cinque canali tematici: il primo sulla mostra in corso, con gli artisti che raccontavano le opere in mostra; il secondo canale dedicato alla collezione permanente; il terzo canale era dedicato a Giorgio Morandi con approfondimenti, piccoli saggi, la parole di alcuni testimoni, documenti d’archivio; il quarto canale era il dipartimento educativo. L’ultimo canale era dedicato agli ospiti invitati dal museo a lasciare una loro testimonianza. Ad oggi i due minuti di MAMbo sono diventati un format proprio del museo divenendo i 2 minuti di MAMbo Extended, approfondimenti più lunghi su tematiche relative al museo.
Il terzo e più appariscente tentativo di reazione è stato pensato e proposto all’inizio di aprile 2020, quando fu chiaro che sarebbe stato impossibile pensare di fare attività aperte al pubblico. Si è deciso di utilizzare lo spazio del museo non più come spazio espositivo ma come spazio di produzione artistica. Sono stati selezionati tredici artisti che hanno potuto usufruire del museo come spazio di lavoro, ripensando di fatto il ruolo del MAMbo nell’idea di quella creazione di comunità citata come uno degli obiettivi di un museo relegata spesso solo all’ideazione di mostre. Grazie al Nuovo Forno del Pane, questo il nome del progetto, è stata possibile invece la creazione di una vera e propria comunità fisica.

Nuovo Forno del Pane Foto Valentina Cafarotti e Federico Landi Courtesy Istituzione Bologna Musei

In che modo si evolverà il progetto Nuovo Forno del Pane?

Il Nuovo Forno del Pane non cesserà la propria attività perché l’idea del museo di un dipartimento permanente che si occupi di produzione artistica è sempre stato un mio obiettivo anche pre-pandemia. Questa è stata l’occasione per varare in grande stile questo progetto che continuerà la sua azione con nuovi artisti, ovviamente, e altri stimoli.

Nell’ottica di riallestire gli spazi, con varie riaperture a singhiozzo, come è cambiato il percorso di visita del museo?

Lo spazio delle mostre temporanee non è visitabile da febbraio 2020, mentre al pubblico è stato sempre aperto, quando è stato possibile, dal 19 maggio al 4 novembre e di nuovo da due settimane ad oggi la parte della collezione permanente. Al primo piano due spazi sono stati adibiti a luoghi di mostre temporanee: la project room del MAMbo ha ospitato una mostra su Castagne matte a cura di Caterina Molteni che metteva insieme delle opere mai viste dalla collezione dei depositi del museo con opere provenienti da altri musei dell’istituzione Bologna Musei.
Il tema molto attuale legata alla ritualità alla scaramanzia dei piccoli riti domestici e questa mostra fa parte di un ciclo di mostre che si chiama ‘RE COLLECTING’ sull’idea di riappropriarsi delle collezioni perché in qualche modo questo sarà il futuro dei museo , cioè ripartire dalle proprie collezioni, in dialogo con la comunità locale.
Giocoforza perché il turismo sarà fortemente penalizzato e il primo pubblico di riferimento è il pubblico di prossimità, più vicino al museo. Offrendo a delle persone che probabilmente hanno già visto quel museo una nuova modalità di visita, nuove chiavi di lettura e nuovi accostamenti a partire dalle opere della collezione. A queste mostre nella project room si collegano anche quelle fatte nell’ultima sala del percorso del museo Morandi in cui abbiamo allestito un primo focus, dedicato ai fiori del maestro bolognese, in cui erano stati accostati un numero eccezionale di dipinti a tema floreale della nostra collezione con, appunto, vasi e fiori finti di seta che l’artista dipingeva, potendo fare la combo tra modello e opera che solo noi possiamo permetterci.

Questo focus è stato disallestito e ora ne è stato inaugurato uno che mette al centro il tema della produzione pittorica di Morandi, quindi i materiali della sua produzione e curiosità legate al suo modo tecnico di intendere la pittura. Inoltre, sempre nell’ottica di mediazione culturale e riscoperta delle collezioni, è stata ideata un’app che offre possibilità di percorso personalizzate in base ai visitatori, che siano singoli, in coppia o in gruppi e famiglie.

Non mi piace dire che la pandemia è stata un’opportunità, perché è stata ed è un’immane tragedia per la nostra generazione, ma ciò che è successo è che di fronte ad una situazione molto negativa, ma sicuramente eccezionale, si ha avuto modo e tempo di pensare a modelli diversi dando quell’idea di adattabilità. Il museo non più pensato come edificio che conserva degli oggetti ma come centro culturale in grado di offrire delle risposte alla comunità.

In che modo è mutato il pubblico, in termini numerici?

È difficile fornire una stima sui visitatori perché abbiamo aperto e chiuso diverse volte, per cui i dati lasciano il tempo che trovano. Ad esempio, le ultime due settimane abbiamo aperto da martedì a venerdì con un pubblico possibile decisamente ridotto.
Tra un lockdown e l’altro, invece, si può fare un’analisi più approfondita perché siamo stati aperti per diversi mesi. In un’estate anomala senza turisti, il pubblico è stato composto prevalentemente da persone provenienti dalla città metropolitana o della regione. Se nel 2019 eravamo circa 1000 visitatori a settimana nel 2020 ne abbiamo avuti 600- 650 che è un ottimo risultato considerando che nel 2019 di quel 1000-1200 un buon 60% erano turisti. Certo, i dati sono fortemente plasmati dalla situazione contingente di emergenza. Speriamo non più verificabile.

Come si pone in relazione alle normative anti-Covid attinenti ai musei?

Io non ho mai criticato né criticherò le decisioni; se ci dicono di rimanere chiusi è giusto ed è un provvedimento necessario per contenere la pandemia. Questa volta, tuttavia, è più complicato capire le ragioni per cui non si possa riaprire durante il weekend, anche perché tra un lockdown e l’altro abbiamo dimostrato di saper reagire dotandoci dei sistemi necessari per poter riaprire al pubblico in totale sicurezza, e non sono mai stati segnalati focolai o problemi provenienti da un’eccessiva frequentazione di spazi culturali. Critico, inoltre, il costante stato di incertezza per cui questa settimana non si sa cosa avverrà di noi la prossima quindi questo ci impedisce di fare una programmazione seria e sensata.

Per assurdo per noi sarebbe più facile un provvedimento che ci faccia rimanere chiusi fino ad aprile piuttosto che farci riaprire a singhiozzo. Questo ci impedisce programmazione e lungimiranza perché per noi è un danno notevole in termini di lavoro ed economici.

Direttore artistico MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, foto Caterina Marcelli Courtesy Istituzione Bologna Musei

Intervista realizzata il 15 febbraio 2021
Immagine in copertina: Direttore artistico MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Foto Claudio Cazzara

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