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Medusa, il mostro con la testa di serpenti, viene ricordata come la ‘mangiatrice di uomini’, colei che con un solo sguardo riusciva a rendere pietra anche i più valorosi eroi. Ma cosa si cela dietro il mito? Oggi proviamo a rileggerlo usando un altro sguardo. Perché proprio cambiando punto di vista si può cambiare, spesso, il corso della Storia.

Chi è cresciuto con una copia dell’Apollodoro nella sua modesta e personale biblioteca, sarà sicuramente a conoscenza di molti dei miti greci che hanno costellato la letteratura classica e non. Come dimenticare il mito di Odisseo, colui che dopo un viaggio di tribolazioni è riuscito finalmente a raggiungere la sua amata Itaca, o le gesta di Teseo contro il famigerato Minotauro? Le sventure di Edipo e l’indovinello con la Sfinge? E che dire dell’impresa di Giasone e dei suoi compagni argonauti alla ricerca del Vello d’Oro?

Tutti eroi mortali che sotto lo sguardo impietoso dei grandi e potenti dèi sono riusciti in imprese sovrumane. Ristudiando questi racconti con una cultura più matura si nota una cosa che probabilmente da bambini ci sfuggiva. Un dato quasi banale, non rilevante, che proprio perché considerato ‘normale’ non creava alcun dubbio o sussulto ad una mente bambina cresciuta anche con le fiabe di Peter Pan e La Bella Addormentata: in questi miti non si racconta delle donne. Dopo questa affermazione qualcuno sicuramente avrà da ridire: sì, certo, il genere femminile è molto presente all’interno di vari intrecci, non ci si dimentichi della mela della discordia di Eris, ad esempio, ma anche in questo inganno il vero protagonista è un uomo, Paride, diviso fra mortali e immortali, lui causa la distruttrice guerra di Troia ma, come sempre, la colpa è poi ricaduta sulla lei, Elena. Prima si citavano Giasone e il Vello d’Oro, ma chi si celava dietro la buona riuscita dell’impresa, tradendo il suo popolo, che successivamente viene sedotta e abbandonata? Medea, figura enigmatica della quale ci sarebbe molto da scrivere. Ci troviamo di fronte ad un fatto, un fatto taciuto, quasi sottile, a tratti fastidioso, ma pur sempre un fatto: i miti sono racconti di uomini per gli uomini e le donne sono figure marginali o assolutamente da non emulare. Ecco allora lo sguardo, non uno sguardo di donna, ma uno sguardo maschile sul corpo femminile; la donna è demonizzata, resa fragile, inaccessibile, e molto spesso uccisa da questo sguardo, senza ricevere troppa solidarietà dal parterre femminile. Perché è questo che si cela dietro i grandi miti: la visione di una società patriarcale, misogina, che non rende giustizia al genere femminile.

Uno dei tanti miti con protagonista una donna che è da sempre fonte di fascino, oltre all’altrettanto nota Medea, è sicuramente quello che tutti e tutte ricorderanno e nel quale lo sguardo in senso letterale ha un ruolo di non poca rilevanza. Anzi, è forse la chiave di lettura assoluta per afferrare appieno il mito in questione.

È una delle tre sorelle gorgoni, ma è lei la più letale, dotata di un corpo che emana lussuria, voce sibilante e penetrante, capelli ornati di velenosi serpenti e occhi che paralizzano e pietrificano. Medusa è una delle tante vittime della letteratura classica, decapitata da Perseo, una delle tante scimitarre maschili, per citare la Woolf. Freud, un altro caro appartenente alla categoria delle scimitarre maschili, ha deciso che la testa di Medusa dovesse assurgere niente di meno che a emblema della paura della castrazione maschile. I serpenti sono un simbolo fallico, una sorta di forma di sovra-compensazione all’orrore della mancanza. Non solo: focalizzandosi sugli occhi pietrificanti della dea, la teoria psicoanalitica ha letto la trasfigurazione in pietra come la paura dell’oggettificazione stessa, dell’essere ridotti ad una ‘cosa’, lo Sguardo dell’Altro che cancella l’individualità e il giudizio esterno che rivelano la vulnerabilità e la fragilità dell’uomo. Sì, l’uomo. Per questo la dea va annientata: è la rappresentazione della precarietà maschile, incarnata da un soggetto femminile demonizzato.

Tuttavia, se si ricostruisce il mito, specialmente quello descritto nelle Metamorfosi ovidiane, ci sono alcuni dettagli sulla storia di Medusa che sono finora sfuggiti anche al più attento occhio autoriale. La nostra protagonista era una bellissima donna con lunghe ciocche di capelli, che aveva deciso di fare giuramento di castità. Un bel giorno, Poseidone, il dio del mare, rimase così folgorato da cotanta bellezza che, come succede spesso nei miti, decide di violentarla proprio nel tempio di Atena. La dea della sapienza, saputo del misfatto di suo fratello e della profanazione del suo tempio, decide di lanciare una maledizione su Medusa – victim blaming? – trasformando i suoi capelli in letali serpenti e dotandola dell’abilità di trasformare gli uomini in pietra con il suo solo sguardo. Ci troviamo di fronte all’ennesimo fatto taciuto: uno stupro. Si dirà che è letteratura, è per regola finzione, e secondo la società dell’epoca era appunto ‘normale’ trovarsi in casi del genere. E si risponderà che sì, giusto, ci troviamo di fronte a una trasposizione di una società patriarcale, il cui sguardo dominante è quello maschile, uno sguardo che mette a tacere, cancella la violenza. Un po’ come d’altronde succede anche oggi, un’epoca nettamente distante da quella dei miti greci.

Seppure la scimitarra maschile sia riuscita a detenere il potere per anni e anni anche sulla letteratura, le rivisitazioni femministe sono riuscite a rendere giustizia a quelle figure che per secoli sono state marginalizzate nella storia della letteratura. C’è chi ha visto nel gesto spietato di Atena proprio una protezione nei confronti della fanciulla, per fare in modo che un evento del genere non le accadesse più, mutando il suo stesso corpo in un’arma contro i propri carnefici e il loro sguardo. Dopo la decapitazione da parte di Perseo, la sua testa è stata utilizzata come scudo proprio dalla dea Atena: il nome di Medusa in greco antico viene da μέδω, médō, che significa ‘proteggere’.

Secondo la rilettura femminista, Medusa è la guardiana, la protettrice di una genealogia di donne che hanno sempre subìto lo stesso destino, ovvero quello di essere vittime di una società fallocentrica dove all’uomo tutto è concesso e dovuto. E se sei donna il tuo unico destino è quello di essere mostro, folle e figlicida.

Come suggerisce Margaret Atwood, colei che ha anche scritto un’opera dedicata a Medusa che si intitola Cat’s eye:

What art does is, it takes what society deals out and makes it visible, right? So you can see it…

Ovidio, Le Metamorfosi, Libro IV, https://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/quarto.htm 

Gillian M. E. Alban, The Medusa Gaze in Contemporary Women’s Fiction: Petrifying, Maternal and Redemptive, Cambridge Scholar Publishing, 2017

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