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Al di là dei complotti di terrapiattisti e negazionisti delle scoperte scientifiche, un filo conduttore che lega passato, presente e futuro nella Scienza è l’enorme possibilità che l’Universo non sia unico. Una concezione, questa, che affonda le radici nel dibattito che animò la scena culturale e scientifica del Cinque e Seicento, quando la Nuova Scienza dovette fare i conti col sapere magico-ermetico. Uno scontro di visioni e teorie che porterà poi alla nascita della società moderna.

Il noto e compianto cosmologo Stephen Hawking ha dimostrato, insieme al collega Thomas Hertog, una nuova visione dell’Universo, che smentisce la tesi del cosiddetto ‘multiverso’ e chiarisce come in realtà l’Universo non sia unico, ma sicuramente non vada incontro a una continua inflazione che lo porta a estendersi sino all’infinito.

Il tema dell’Universo finito o infinito nel corso della storia del pensiero occidentale è anche stato, prima che protagonista negli studi di Hawking e Hertog, oggetto di una tradizione secolare di diverse dispute filosofiche e teologiche, oltre che scientifiche.
Il discorso affonda le sue origini già in Aristotele, che nell’opera De caelo (Περὶ οὐρανοῦ) offriva un’idea geocentrica del Mondo, in cui la Terra era posta al centro e sette sfere celesti perfette (Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno) ruotavano intorno ad essa, l’ultima delle quali costituita dalle stelle fisse che chiudevano l’Universo. La tesi venne accolta nei secoli successivi anche dall’astronomo Tolomeo, il quale aggiunse, per far quadrare i conti matematici e salvare i fenomeni, la teoria degli epicicli che apparteneva a tutti i pianeti tranne al Sole.

Un sistema che non sarebbe durato ancora per molto, anche se approvato e supportato per diversi secoli dalle istituzioni occidentali.
Bisognava infatti attendere il 1543, quando lo scienziato polacco Nikołaj Kopernik (Niccolò Copernico) pubblicò il De revolutionibus orbium coelestium, perché il sistema aristotelico-tolemaico venisse di fatto messo in discussione e confutato alla ricerca di una corretta visione del mondo, cosa che causò molto entusiasmo in liberi pensatori come Galileo, Keplero e Giordano Bruno, ma altrettanta diffidenza nelle gerarchie ecclesiastiche e negli aristotelici. Fu proprio Copernico a dare inizio alla vera rivoluzione che fu poi proseguita da altri, affermando che non era il Sole a ruotare attorno alla Terra ma viceversa. Così dicendo, con la teoria eliocentrica la Terra perdette il suo ruolo centrale nell’Universo e ciò venne vissuto come un trauma: tutta la cultura europea che durante l’Umanesimo aveva posto l’uomo al centro del Mondo iniziava a sentirsi smarrita.

Copernico rappresentò soltanto un sassolino che diede inizio alla frana che avrebbe investito il pensare comune e la generale visione del cosmo, attuando un’autentica rivoluzione: spettò poi più tardi a Galileo, oltre a creare il metodo empirico che è alla base dell’osservazione scientifica, mostrare con il cannocchiale come la Luna fosse simile alla Terra, eliminando la contrapposizione tra mondo celeste e sub-lunare, mentre Keplero teorizzò come le orbite dei pianeti fossero ellittiche e non circolari e Tycho Brahe demolì l’idea delle sfere celesti. Nonostante queste importanti novità, tutti e tre mantennero l’idea di un Universo pur sempre chiuso e finito. Di parere diverso il filosofo Giordano Bruno che, oltre a sostenere l’idea di un Universo vivo e animato, affermava che l’infinità di Dio era dimostrata dall’ infinità dell’Universo, che è sia infinitamente esteso sia composto da innumerevoli parti, tutto per effetto di Dio; l’Universo è infinito perché Dio è infinito.


Le tesi del filosofo campano, per quanto originali e innovative, non si basavano su nulla di scientifico e vennero perciò declassate a mere supposizioni, anche se resero il loro ideatore uno spartiacque tra pensiero rinascimentale e pensiero scientifico Seicentesco.

Se infatti da una parte abbiamo gli interpreti che passeranno alla Storia come i prototipi degli scienziati moderni, mossi dall’intento di far emergere una Scienza basata sull’osservazione e che avrebbero irreversibilmente rivoluzionato l’idea del mondo, dall’altra questa nuova Scienza dovette fare i conti con una diffusa tradizione culturale: il sapere magico-ermetico rinascimentale.

Ipse dixit. Lo ha detto Aristotele, così è. «Eppur si muove».
Un confronto che si tradusse in uno scontro tra chiuso e aperto, tra limitato e illimitato.
Quella che sarebbe stata storicamente etichettata come Scienza, che costituisce una delle basi sulle quali si fonda la moderna società civile e laica, dovette quindi scontrarsi fortemente con una cultura pregna di convinzioni e di rifiuto di tutto ciò che era studiato con rigore scientifico. Da un lato l’idea di un sapere chiaro e collettivo, libero e laico, privo di enigmi e che rifiutava il principio di autorità, dall’altro un sapere occulto ed elitario che puntava il suo sguardo verso il passato e autori antichi, in uno stagnante fissismo culturale.

Sappiamo bene o male com’è andata la Storia a tal proposito, e non è affatto un caso che la società e la Scienza moderne prendano il via dalla polemica e dal rifiuto verso un sapere autoritario e pieno di limiti.
Una scelta razionale che sembra distante da noi anni luce ma che, paradossalmente, necessita di essere rinnovata nel quotidiano ogni volta che si fa affidamento a un ‘capo carismatico’  in qualsiasi ambito, culturale in primis, cioè ogni volta che si ripresenta l’occasione di fomentare un’idea ristretta del sapere e ci si abbandona ciecamente, per esempio, anche ad un banale oroscopo. È allora che i valori del magismo sembrano riaffiorare più forti di prima: è proprio per questo abbandono alla ‘non-Scienza’ che ancora molta gente si affida a guru, santoni, cartomanti e pseudo-scienziati dell’ultima ora in cerca di un buon motivo per sostituire la Ragione, con buona pace degli studi scientifici che per molti hanno persino significato andare incontro a morte certa o, peggio ancora, l’abiura.

Una visione della realtà che, soprattutto oggi, spesso fa da sottofondo a chi si rivela facile preda del peggior nazionalismo e del sovranismo dilagante. Basti pensare, ad esempio, a quanto accade con la moda pseudo-culturale del terrapiattismo, foraggiata dalla miriade di negazionisti sparsi per il globo, per i quali l’unica differenza con quelli del passato è semplicemente il fatto di vivere nel Terzo Millennio, con nuove teorie e nuovi strumenti di diffusione.

In sostanza, limitato e illimitato non è soltanto un binomio e una visione che l’uomo ha dell’Universo o una teoria scientifica fine a se stessa, ma anche un modo di pensare. Possiamo limitarci e fare affidamento a qualcun altro che pensi o abbia pensato per noi, con l’idea che risolverà tutti i nostri problemi rinunciando però alla nostra libertà, o non porci limiti e costruire tutti insieme un futuro nel segno della chiarezza e dell’autenticità, in cui ognuno sia protagonista e portatore sano del libero pensare e della libera espressione.
Purché, alla fine dei conti, si rimanga nelle proprie competenze e non ci si affidi ai dogmi più disparati negando le verità scientifiche.

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