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Cosa accade dall’altra parte del pianeta? In India le donne stanche di un sistema corrotto da decenni, si ribellano utilizzando come simbolo il colore rosa, Nishtha Jain narra splendidamente la storia della Gulabi Gang attraverso lo strumento cinematografico.

Fra i luoghi comuni più infantili, emerge che il rosa viene identificato come il colore delle ‘femminucce’. Questo non è certamente quello che pensano le attiviste della Gulabi Gang (gulabi infatti significa rosa) un gruppo di donne militanti che opera in tutto il territorio dell’India settentrionale, proponendosi come scopo la difesa delle donne vittime di soprusi e ingiustizie. Una delle loro caratteristiche è difatti quella di indossare l’abito tradizionale, il sari, proprio di colore rosa; un abito che ha una origine molto antica, risalente al VI secolo a.C.

Come si legge nell’articolo de «La Stampa» del 27 febbraio 2008, la Gulabi Gang «è considerata una delle gang più agguerrite e temute dell’India settentrionale: rapida e feroce, si sposta tra i villaggi e le campagne brandendo coltellacci e bastoni, e togliendo il sonno a ufficiali di polizia e proprietari terrieri. Urla, minacce, pugni, impiegati terrorizzati, caserme assaltate».

Tuttavia non nasce come movimento violento: usano come primo strumento l’indagine e il dialogo, e solo se l’individuo utilizza la violenza rispondono a loro volta con la stessa. Accade spesso, infatti, che vengano attaccate e che per difendersi rispondano con il laathis, il ramo di bambù divenuto simbolo di questa battaglia.

Members of “gulabi gang,” (pink gang), a women’s vigilante group, shout slogans at a protest in New Delhi, India, Thursday, Sept. 17, 2009 as they demand a separate Bundelkhand state. The group so named after the pink dress that they wear was formed in Uttar Pradesh State’s Banda district. The women brandish sticks and fight for social issues. (AP Photo/Mustafa Quraishi)

In media, nel subcontinente indiano vengono commesse 92 violenze ogni ventiquattr’ore, ma gli esperti ritengono che molte di esse non vengano neanche segnalate. La reazione che si è avuta dinanzi a un sistema fortemente patriarcale è stato l’attivismo politico della Gulabi Gang mostrato nell’omonimo film di Nishtha Jain del 2012.

In quali termini, quindi, si pone il cinema d’autore? Qual è la sua reazione all’imponente violenza patriarcale?
Jain, classe 1965, è una regista indiana di fama internazionale e la sua reazione artistica si è occupata di indagare proprio quell’attivismo ‘rosa’ in uno splendido documentario disponibile sulla piattaforma Cinema Politica. Il film si interroga su esperienze riguardanti violenza di genere, caste e classi sociali, ed esplora il politico nel personale scoprendo i sistemi della classe privilegiata.

Spesso, quando si parla di documentario, si pensa a qualcosa di didascalico, a un personaggio affascinante come Alberto Angela che presenta e spiega la realtà. Lo sguardo di Jain invece nella regia quasi scompare, diviene trasparente e persino antropologico: il suo occhio scruta, provoca e condanna un sistema innegabilmente corrotto da decenni.

Il film si apre con campi lunghi e la fotografia è attenta e studiata come il suo bilanciamento di colori, ma non si distoglie mai dalla realtà e non teme di mostrare immagini forti come il corpo carbonizzato di una donna vittima di omicidio.

Il gruppo di eroine mostrato nel film ha scisso l’opinione internazionale tra sostenitori e non. Tuttavia, in un mondo in cui la corruzione è la regola e non l’eccezione, appare quasi superfluo schierarsi a favore di queste donne coraggiose, nella misura in cui, laddove non arrivi la mano della giustizia, arriva l’individuo singolo che, utilizzando l’educazione, il dialogo e la dialettica, cerca di trovare una soluzione ai drammi quotidiani.
La reazione della regista è la medesima delle componenti della Gulabi Gang, un gruppo di donne stanche di soffrire e soccombere silenziosamente. La pellicola è tra le prime indagini cinematografiche sulla condizione femminile in India analizzata nei suoi diversi aspetti economici, sociali, psicologici, di costume.

Il tipo di immagini a cui è abituato il grande pubblico occidentale appartiene a quella società definita ‘dei consumi’; un’immagine capitalistica, fredda, edulcorata e piena di contraddizioni. I meccanismi del capitalismo sfruttano i Paesi dove la manodopera costa meno e uno di questi è proprio l’India. Le patinate immagini di Marilyn Monroe o Belen Rodriguez imposte dall’industria culturale sono molto lontane dalle diapositive proposte da Jain; quelle di donne impaurite, maltrattate, in una realtà drammaticamente diversa e con un maggiore impatto se la si mette a confronto con il cinema di registi come Paolo Sorrentino.

Il lungometraggio è un ottimo esempio di inchiesta cinematografica che, attraverso una serrata analisi, mette a fuoco problemi e aspetti della condizione femminile in India, quali lo sfruttamento fisico e ideologico a cui il patriarcato ancestrale sottopone la donna.

L’occhio della regista si configura come reazione a un determinato sistema immobile da anni. Come reagire se non direttamente denunciando con l’uso dell’arte cinematografica?

Al di fuori delle porte del mondo occidentale vi sono delle realtà che non stenteremmo a definire primitive, con una forte accezione negativa. Il ruolo del cinema – e dell’arte in generale – è quello di reagire mostrando e registrando, al fine di creare un discorso critico sulle realtà circostanti, e infine gettare un seme per il cambiamento.

Questo è il ruolo delle forme d’arte degne di questo nome.


Fonti:
Ramesh Prasad Mohapatra, Fashion Styles of Ancient India: A Study of Kalinga from Earliest Times to Sixteenth Century Ad, Publishing Corporation, 1992, p. 35
Geraldina Colotti, Violenza di genere, impotenza del patriarcato, «Il Manifesto», 25 novembre 2014
All’India la maglia nera di peggior paese al mondo per le violenze sulle donne, «Il Messaggero», 24/12/2019 
Bernie Mak, Cinema Politica Screening Review : The Gulabi Gang, «Graphite Publications», 29/01/2015 
Nandini Krishnan, Nishtha Jain on documenting the Pink Sari Revolution, sify.com, 14/02/2014

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