Skip to main content

Il Carico di lavoro mentale definisce la soglia oltre cui le capacità cognitive dell’uomo risultano limitate. In contesti lavorativi impegnativi superare tali limiti è possibile con l’utilizzo di strumenti tecnologici.

Immagina di essere un pilota d’aereo, di essere in volo.
Il ritmo cardiaco aumenta, l’adrenalina sale, mille emozioni iniziano ad alternarsi. Devi restare concentrato e selezionare i comandi, verificare il percorso, gestire eventuali turbolenze e non solo; si tratta naturalmente di un lavoro che richiede una grande spesa di risorse cognitive tanto quanto energetiche.

Esistono categorie lavorative che necessitano di operatori altamente specializzati e addestrati al superamento di situazioni particolarmente difficili, in grado di lavorare in condizioni di stress. Gli operatori che lavorano in sistemi complessi, come in ambito aeronautico o navale, sono costretti a sostenere considerevoli costi fisici e cognitivi per il raggiungimento degli obiettivi.
Tuttavia, anche questi operatori sono vulnerabili al cedimento caratterizzato da un lento decremento delle performance. Ma cosa succede quando il carico supera le risorse possedute dall’operatore?

È il breakdown della prestazione che definisce la riduzione della performance finale: da qui nasce quindi la necessità di monitorare gli stati interni dei soggetti al fine di controllare la qualità delle prestazioni.
Molte delle attività in cui siamo quotidianamente impegnati sono automatiche, ma non in tutti i casi, perché ciò capita quando la difficoltà del compito aumenta e subentra un tipo di elaborazione più controllata. In contesti lavorativi caratterizzati dalla presenza di condizioni operative critiche il carico di lavoro mentale risulta fondamentale. Il mental work load (MWL) o carico di lavoro mentale è un costrutto di difficile definizione, soprattutto paragonandolo a quello fisico poiché non abbiamo metri di misura simili ed egualmente concreti e oggettivi.
Anche per la ricerca scientifica è stato difficile fornire una definizione univoca. Esistono diverse concettualizzazioni che possono essere dovute alle esigenze del ricercatore oppure alle scelte teoriche di fondo. I ricercatori hanno definito, tuttavia, quattro fattori emblematici per la connotazione del MWL, ossia: le richieste imposte dal compito, il livello di prestazione che l’operatore riesce a raggiungere, lo sforzo esercitato dall’operatore per eseguire il compito e la percezione dell’operatore.
Il carico di lavoro in realtà è dato da tutti questi elementi, motivo per cui la maggior parte delle prospettive gli riconosce, infatti, una natura multidimensionale.

Il MWL è un costrutto ipotetico, privo di legame diretto con fisiologia del soggetto che presenta, però, correlati indiretti sia dal punto di vista della prestazione che della fisiologia. È infatti invocato per spiegare come e perché, malgrado le abilità mostrate dagli individui, a volte la loro prestazione possa risultare scadente.

Gli esseri umani dispongono di risorse limitate per l’esecuzione di un compito e diversi compiti richiedono differenti quantità – e qualità – di queste risorse.

Il primo contributo di una certa rilevanza nello studio del fenomeno è addirittura il più datato ed è quello relativo al ‘periodo psicologico refrattario’ (Psychological Refractory Period, PRP) di Telford, basato su una valutazione delle performance ottenibili nell’esecuzione di compiti multipli. In pratica, un soggetto esegue due compiti a breve distanza di tempo l’uno dall’altro, con 0/1 secondo di intervallo, e deve rispondere agli stimoli nel modo più veloce e accurato dando la priorità al compito primario. Telford osservò come l’intervallo inter-stimolo potesse influenzare i tempi di reazione, suggerendo l’ipotesi di un canale unico di elaborazione per il trattamento dell’informazione e per la selezione della risposta. Al fine di supportare l’attività degli operatori in contesti complessi è stata sviluppata l’automazione adattiva, ossia un’automazione in grado di cambiare dinamicamente le sue modalità operative adeguandosi in tempo reale alle necessità dell’operatore umano. Automazione ovvero l’esecuzione da parte di una macchina di una funzione che era stata precedentemente svolta da un essere umano; esempio su tutti, il pilota automatico.

Il risultato deve essere vantaggioso per l’utente ma possono esservi rischi quali la mancanza di fiducia verso l’attività del sistema automatico, il che comporta il bisogno di introdurla solo quando necessaria, cioè quando il carico di lavoro mentale diviene troppo elevato. Il rischio principale è che, una volta inserito, il soggetto possa sentirsi fuori ‘out of loop’ e adagiarsi sulla certezza/timore che lavori al suo posto. Per evitare il rischio, si deve fare in modo che l’operatore lo utilizzi quando realmente necessario. Altri esempi sono la maniglia dell’uomo morto, in cui l’operatore per far funzionare la macchina deve spingere una maniglia, se perde conoscenza e la lascia il treno inizia a rallentare; la concentrazione di adrenalina (nelle urine) e di cortisolo (nella saliva) risultano sensibili alle variazioni nel carico di lavoro mentale. Assume, inoltre, una netta centralità un meccanismo definito burn-out dell’operatore, una situazione nella quale questi affronta un ‘esaurimento’ delle risorse, sente di aver superato i limiti sia a livello mentale che a livello fisico e risponde, ad esempio con difficoltà a rilassarsi o con assenza di energia da impiegare in nuovi progetti, persone, sfide.

Negli anni gli studiosi hanno, quindi, compreso che i limiti umani a livello cognitivo possono essere superati attraverso la realizzazione di strumenti e tecnologie estensive, partendo dalla situazione ostacolante possiamo generare sistemi automatici in grado di aiutare l’operatore nel superamento della difficoltà amplificando le performance complessive. Analizzare le attività degli operatori in situazioni stressanti consente di cogliere le soglie entro le quali i limiti umani tendono a essere più evidenti nonché, appunto, limitanti. Un’analisi accurata delle evidenze emergenti fornisce un punto di partenza ottimale per lo sviluppo delle tecnologie che contano di facilitare l’attività umana senza, però, sostituirla, consentendo una cooperazione positiva tra uomo e macchina riducendo lo stress e l’impiego di risorse cognitive.


Fonti:

Francesco Di Nocera, Cos’è l’ergonomia cognitiva, Carocci, Roma 2004

Leave a Reply