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La pietra, materiale duro per antonomasia, è in realtà sempre sottoposta a numerose metamorfosi naturali, fino ad arrivare ai sapienti scultori che la trasformano nelle forme morbide ed emozionanti che hanno fatto la storia dell’Arte.

In che modo si trasforma la materia intorno a noi? E in che modo lo facciamo noi?

Se ne parla da sempre. Il dinamismo di ciò che circonda l’uomo cattura l’attenzione e meraviglia le menti sin dai primi poeti: tra il 2 e 8 d.C., Ovidio compone il celebre poema di ben 15 libri, raccontando, tra le tante cose, miti sulla creazione del «nucleo cosmico», materia che si aggrega per dar vita all’universo. Ancor prima Omero racconta dell’episodio della maga Circe nell’Odissea, Virgilio di mutazioni della materia nelle Georgiche e nell’Eneide, nel I secolo a.C.

Nel 130 d.C., epoca romana, Apuleio compone un romanzo di undici libri in cui si narrano le Metamorfosi. Le vicende dei protagonisti, Apollo e Dafne, prendono vita, più tardi, tra le mani del maestro Bernini, grazie a sapienti modellazioni scultoree di bianco e purissimo marmo. Per la precisione, marmo saccaroide di Carrara, estratto dalle cave delle Alpi Apuane. E qui la sorpresa: nella scultura donataci da Bernini, c’è una storia nella storia, un’incantevole sovrabbondanza di mutazioni in atto che si mescolano: il marmo infatti è quella che si definisce in geologia una roccia metamorfica.

Prima di Omero, quindi, c’era qualcuno – o meglio, qualcosa – che aveva ben chiaro che le metamorfosi esistono e, per giunta, sapeva darcene una spiegazione: il nostro pianeta. Sicuramente meno fantasiosa dei poeti latini, ma altrettanto affascinante.

Una roccia, prima di diventare metamorfica, parte dall’essere una roccia ‘semplice’: magmatica/vulcanica oppure sedimentaria. Sotto determinate condizioni di calore, temperatura e contatto con le diverse composizioni dei fluidi terrestri la roccia si trasforma. Il mondo che studia da vicino la struttura interna delle rocce – discipline come la mineralogia, la petrografia e la cristallografia – è molto complesso; per semplificare le cose: se ho una roccia madre come l’arenaria o l’argilla laminata, sotto determinate condizioni, avrò una roccia metamorfica dalla tessitura scistosa, cioè con minerali allungati aventi una certa direzione; se, invece, la mia roccia di partenza è una come calcare, dolomia, vulcanite o arenaria quarzifera avrò come risultato una roccia dalla struttura granulare. Per esempio, il marmo compatto dei corpi di Apollo e Dafne, nacque da una roccia calcarea parecchio stressata.

Ma cosa sono le forme che si osservano in queste rocce?

La scistosità è il risultato delle forze compressive che schiacciano una roccia: i minerali lamellari si accrescono o si deforma allungandosi in direzione perpendicolare a quella delle forze compressive, allineandosi secondo una direzione preferenziale. A livello di parete rocciosa, il risultato che si può notare è la costruzione di piani di clivaggio, perpendicolari ai piani di stratificazione. All’aumentare, poi, del grado di metamorfismo, aumenta anche la dimensione dei cristalli e la scistosità diventa più grossolana.

Foto a sinistra: piani di clivaggio (scistosità) in parete rocciosa; a destra: sezione sottile di roccia, scistosità al microscopio ottico.

Dunque, attraverso percorsi progradi (pressioni e temperature crescenti) o retrogradi (pressioni e temperature decrescenti) una roccia si trasforma: in che zone della Terra succede questo? In zone di subduzione, cioè quando la crosta oceanica scorre al di sotto della crosta continentale – e lo fa sempre per questioni dipendenti dalla densità. In contesti di collisione placca-placca possiamo avere il risultato di una roccia con tipico mélange di subduzione determinato da un percorso progrado; se, dopo un po’ di tempo, la roccia si ritrova a dover fare il percorso inverso in risalita, noto come processo di esumazione, potremo osservare mélange con ofioliti. Questo avviene in un percorso retrogrado per esempio quando, come parte del processo di subduzione, la materia risale verso la superficie, per spinta di galleggiamento e di circolazione attiva. In pratica, per resistere a mutamenti della materia circostante, una roccia è costretta a cambiare di abito, senza rinunciare allo stile: le rocce metamorfiche sono spesso considerate tra le più belle, dalle forme e dai colori sorprendenti.

Bande colorate di minerali strizzati, piegate e ripiegate; grossi accrescimenti di minerali che spezzano la duttilità delle bande. Altro che God only knows, di sicuro Nature only knows: la materia – noi compresi – è sempre in costante mutamento e, il più delle volte, si ripresenta con un aspetto smagliante.

Apollo e Dafne. Illustrazione di Federica Sessa.

Fonti:

Press F., Siever R., Grotzinger J. P. , Jordan T. H., Capire la Terra, seconda edizione Italiana condotta sulla settima edizione americana a cura di Lupia Palmieri E. e Parotta M., Zanichelli, Bologna 2006

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