Confrontare, paragonare, comparare, sono azioni che la scienza usa al fine di evidenziare dei margini di differenza tra due elementi. Nella scienza medica questi elementi sono le persone, da un parte un modello di salute e dall’altra uno stato di allontanamento da esso: la patologia.
Un paziente è sdraiato su un lettino di un ambulatorio. Il medico, armato di fredde mani e strumenti complessi, valuta, palpa, ausculta, testa alla ricerca di qualcosa. Mentre sono descritte, queste azioni si stanno ripetendo migliaia di volte in ogni parte del pianeta. Ma cosa analizza esattamente il medico?
Le sue azioni non sono altro che un’attenta ricerca di segni che si discostino dal fisiologico funzionamento del nostro corpo e dall’armonica anatomia dei nostri apparati. Per poter definire una condizione patologica è necessario conoscere la condizione di salute. La perfetta analisi di una persona sana è ciò che si studia nei primi anni di medicina; si impara a riconoscere la normale fisiologia umana, il normale funzionamento dei nostri organi, per poter poi con agilità riuscire ad evidenziare prontamente lo stato patologico.
Il lavoro del medico è un lavoro di confronto. Egli, durante una visita, applica un perenne confronto della persona in esame con un ipotetico soggetto in perfetto stato di salute, una rappresentazione teorica del perfetto funzionamento umano. Dal confronto con questo modello di riferimento si evidenziano tutti i sintomi o segni che allontanino il paziente da questo stato di salute. È facile intuire che, per un’azione medica giustificata e risolutiva, sia necessaria una condivisione scientifica unanime della descrizione di ‘salute’. Rivoluzionaria fu la proposta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1998 di modificare l’originaria definizione di salute, con un assunto più completo e articolato.
Con questa enunciazione l’OMS inserisce il concetto di benessere mentale e sociale: ciò significa che una persona, per essere considerata sana, deve essere capace di condurre una vita lavorativa e sociale produttiva e soddisfacente e avere una piena consapevolezza di sé, riuscendo a stare bene nel proprio corpo e nel proprio contesto di vita.
Da qui nasce una provocazione: possono delle orecchie a sventola inficiare la salute di una persona? Un problema meramente estetico in un corpo perfettamente funzionante, può essere considerato patologia? Se quest’ultimo influisce sulla psiche del paziente, impedendogli di affrontare con serenità attività quotidiane di vita, dal lavoro, alla vita di comunità, allora sì. L’eliminazione di questo problema può quindi permettere al soggetto di avvicinarsi il più possibile allo stato di salute.
Ecco come nasce il nuovo modello di salute: non più esclusivamente ‘funzionante’ ma anche bello, proporzionato, armonico e in linea con i canoni estetici del momento. Si è assistito ad una vera e propria evoluzione della visione di salute, un nuovo archetipo di equilibrio clinico e psicologico, bilanciamento perfetto tra omeostasi biochimica e ormonale con una scrupolosa cura anche del mezzo estetico del corpo, portando a una sempre più forte influenza dell’immagine esteriore nel modello di salute di riferimento, integrando così parametri di avvenenza e attrazione, elementi considerati per molti imprescindibili per un completo benessere della persona. Questi fattori sono diventati quindi non solo mezzo ma anche fine della nuova medicina, elementi perfettamente targettizzati dalla medicina e chirurgia estetica.
Quale deve essere quindi il modello di salute al quale deve fare riferimento un medico al giorno d’oggi?
È sempre più ineludibile il confronto con un prototipo di benessere in cui non ci si limiti più alla fisiologia, anatomia e biochimica del corpo umano, ma ci si rapporti a un modello più complesso, in cui sono inclusi parametri estetici, spesso variabili nel tempo e influenzati da cultura e mode. Nell’ultimo decennio sono aumentati gli interventi di chirurgia estetica nella popolazione asiatica. Tra le prestazioni più richieste spicca la blefaroplastica orientale, intervento con il quale si interviene sulla rima palpebrale; il risultato è una conversione degli occhi a mandorla in occhi con profilo tipicamente caucasico.
Il modello estetico occidentale con il quale ci si rapporta si è espanso a macchia d’olio su tutto il territorio mondiale, portando a una trasformazione del paradigma di confronto al quale il medico estetico è stato costretto a rapportarsi.
Non si parla però solo di medicina estetica. Il modello di confronto si sta lentamente uniformando in tutte le branche mediche, portando a un’omologazione non solo di canoni estetici ma anche di patologie sistemiche e problemi sanitari. Lo stile di vita occidentale, sempre più diffuso sui cinque continenti, ha portato all’aumento su scala internazionale di obesità, diabete, tumori con fattori di rischio alimentari e di stile di vita, infezioni acute e croniche, tra le più recenti l’infezione da Sars-Cov-2. Se un secolo fa un medico del Sudamerica, per motivi epidemiologici, affrontava malattie con una casistica profondamente diversa da quella di un medico di Amsterdam, oggi non è così. Il modello di confronto di salute che si utilizza è uguale per tutti e subisce l’omologazione dello stile di vita e l’evoluzione del pensiero umano.
Fin dai tempi in cui il medico era il barbiere di quartiere, il confronto è stato un modus operandi necessario nella pratica clinica. Il medico deve confrontare, valutare, paragonare tramite gli strumenti a sua disposizione, per raggiungere un giusto inquadramento clinico diagnostico.
Va riconosciuto che oggi in medicina il confronto è un concetto mutato, oggi il medico, estetico o non che sia, trova davanti a sé un paziente che ha un chiaro modello di salute davanti, un modello fatto di benessere fisico, psichico e sociale, un modello che insegue un canone di armonia fisica ed estetica dettato sempre più dal mondo occidentale.
Il confronto è sempre un’arma nelle mani del medico, un aiuto fondamentale nel ragionamento clinico al fine di risolvere uno stato di malessere nel paziente, ma esso può ora rappresentare un rischio? Può avere un potenziale negativo causato dalle continue evoluzioni dei modelli di riferimento di salute e benessere della medicina moderna?

Sempre più si è bombardati da slogan, spot e pubblicità che incitano all’attività fisica, allo sport, alla corretta alimentazione, tutto per diventare sempre più belli e in salute. Confrontandoci costantemente con queste informazioni, e nel desiderio di raggiungere questi risultati si arriva a chiedere aiuto alla medicina: integratori, laser, liposuzioni, chirurgia estetica, antipsicotici, ansiolitici. Una richiesta di aiuto nel tentativo di raggiungere questi risultati o, nei casi peggiori, un aiuto farmacologico atto a sopportare lo stress e l’ansia che deriva da questa ‘inadeguatezza sociale’.
Può la medicina accettare questo cambiamento? Può rincorrere i nuovi cambiamenti di indirizzo di salute?
La verità si può ritrovare nella frase del medico e politico A. Seppilli, il quale nel 1966 scrisse:
[…] La salute è una condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico e psichico, dell’individuo dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale[…].
La parola dinamicamente è la chiave di risposta, sottintendente la lenta e perenne trasformazione dell’ambiente in cui viviamo e con esso del nostro modo di integrarci con l’ambiente stesso.
Accettare il cambiamento dei modelli di salute significa valutare con una visione critica e attenta gli aspetti negativi ai quali si può andare incontro con questo costante confronto con un’immagine di salute troppo stereotipata da media e social.
Il confronto è un mezzo utilissimo nelle mani della scienza medica, ma ha un potenziale rischio che occorre riconoscere e affrontare. La figura del medico è l’elemento cardine di questa analisi, per permettere di affrontare con saggia critica ogni singola situazione della quotidiana pratica clinica, evitando la minaccia di una deriva medica poco etica.
Fonti:
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