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La musica classica sembra così lontana dal nostro essere odierno, ma esiste un mondo difficile anche da immaginare, se la si guarda da lontano e con occhi schivi. Osservarla da un altro punto di vista, che sia quello dell’autore tramite qualche suo scritto, o attraverso qualcuno che gli è vicino, ci racconta che in realtà è molto più simile a noi di quanto immaginiamo.

In un suo libro, Milan Kundera parla di un amore disinteressato, che comprende il non farsi domande che naturalmente ci si pone quando si ama qualcuno, l’essere capaci di amare senza desiderio di un ritorno dello stesso, l’avvicinarsi all’altro senza pretese e volere solo la sua semplice presenza. Un amore volontario, senza obblighi.
Probabilmente, o forse sicuramente, tra persone è un amore utopico. Ma se andassimo oltre?

La musica risponde perfettamente a questa domanda, e lasciarsi ‘attraversare’ in questo modo permette di sentirla. La musica in sé è capace di delineare tutti i pensieri e tutte le immagini, non ha bisogno di spiegazioni. Ma se volessimo andare oltre? Cercare ulteriori modi per vederla?

All’inizio degli anni ’90 del XIX secolo, Johannes Brahms (Amburgo, 7 maggio 1833 – Vienna, 3 aprile 1897) uno dei più grandi musicisti e compositori del secondo Ottocento, era a Bad Ischl, un piccolo paese sulle montagne austriache.

Dopo una vita dedita alla musica, finalmente poteva godersi il meritato relax; la musica, al contrario, non lo lasciava tranquillo, limitando così progressivamente la pratica della composizione, facendola diventare un hobby per le vacanze, tornando con l’immaginario, con lo sguardo, indietro nel tempo, esprimendo, con dolcezza e con pudore, il rimpianto e insieme l’angoscia. Da vero artista che coglie il giungere di tempi nuovi.

Tra i profumi e i colori di questi paesaggi che scelse per i suoi ultimi anni di vita, compose i pezzi brevi per pianoforte, distribuiti nelle opere 116, 117, 118 e 119, tra il 1891 e il 1893.

Il compositore che a vent’anni aveva scritto tre Sonate e a trenta le serie monumentali delle variazioni su temi di Händel e di Paganini, a sessant’anni si dedicava amorevolmente alla piccola pagina intimistica. Uno sguardo al passato lo si ritrova anche nel tipo di scrittura compositiva, quasi l’autore si compiacesse di una visione incantata dell’amata musica schumanniana e mendelssohniana. Pare persino di andare ai riflessi lirici di Franz Schubert e, più indietro ancora, alle pagine in stile empfindsamer, lo stile della sensibilità, di Carl Philipp Emanuel Bach.

Queste le ultime opere che esprimono momenti fra i più autentici e intimi dell’ispirazione brahmsiana; brani che ci parlano di una vita intera, che in realtà basta ascoltare attentamente per capire ciò che l’autore ci sta raccontando. Portare lo sguardo all’interno di questo mondo in modo diverso, tramite le sue parole e quelle di persone a lui care, ci mostra sfumature che spesso non notiamo.

[Novembre 1892]
Brahms mi ha mandato undici dei suoi pezzi per pianoforte (ancora inediti): per me sono una vera fonte di piacere, [una fonte] di tutto, poesia, passione, entusiasmo, profondità, pieni dei più meravigliosi effetti sonori, […] completamente interessanti. Con questi pezzi sento finalmente riandare nella mia anima la vita musicale […].

Amica e ‘consigliera’, Clara Wieck Schumann, scrisse queste parole nel suo diario a proposito di queste intense pagine.
Era dello stesso parere il critico e amico Eduard Hanslick, recensendo le sue raccolte con parole più colorite: «Monologhi solitari delle ore serali». Pagine che raccontano un viaggio attraverso le note del pianoforte come confidente privato. Il viaggio sembra iniziare, aprirsi, ad esempio, nel primo dei Pezzi per pianoforte dell’op. 118, l’inizio di quello che sembra un cammino ideale del viaggiatore.

La musica che ascoltiamo non rappresenta mai sole e semplici note, a prescindere dal periodo storico di cui fa parte, essa contiene un vero e proprio mondo.
Sbirciando nella sua vita, scopriamo che Brahms era un ottimo pianista (come conferma anche Robert Schumann: «un modo di suonare quanto mai geniale, che fa del pianoforte un’orchestra dalle voci ora lamentose ora esultanti di gioia»); eppure egli, pur esibendosi frequentemente in pubblico, non fece mai il pianista, né il concertista, se non fino a quando ne ebbe bisogno per motivi economici. A impedirgli di diventare un ‘pianista professionista’ fu probabilmente il suo carattere, riflessivo, riservato e alieno da ogni forma di esibizionismo, che gli faceva tenere in scarsa considerazione ‘la vita da cani del virtuoso’.
Il particolare rapporto del Brahms pianista con il suo strumento si riverbera ovviamente anche sul Brahms compositore e sulle sue opere per pianoforte solo. Si può notare come, a differenza della maggior parte degli autori suoi contemporanei, il musicista ricorra a dei titoli neutri, rifiutando ogni denominazione di tipo evocativo o addirittura descrittivo, e si limiti a suggerire l’atmosfera fondamentale, la ‘tinta’ avrebbe detto Verdi, di ciascun brano.

Questa lettera che Brahms scrisse per Clara, amica e ‘amore vero’, risale al 1881, a un suo viaggio in Italia, come si legge. Quelle pagine così intime che invece vennero scritte più di dieci anni dopo non si potrebbero comprendere senza guardare queste epistole e capire il modo che l’artista aveva di vedere, sentire e comunicare. Pagine venate da una dolce tristezza che però non sfocia mai in una incontrollata disperazione, espressa da un sommesso e nostalgico canto.

Questi scritti ci raccontano una piccola parte della vita di quest’uomo e di conseguenza della sua musica. Osservare queste parole, che esprimono un messaggio d’amore, di nostalgia, serve solo ad aiutarci a comprendere meglio ciò che la musica, già da sola, ci sta dicendo.

Ma quanto altro ancora non conosciamo? E chi e cosa rappresenta Clara per lui? Non lo si dia per scontato.
Una vita intera non basta per conoscere e capire tutta la musica che ci circonda, qualunque sia il genere musicale che preferiamo ascoltare; ma ogni volta che si sente qualcosa, la si ascolti, mai passivamente, andando oltre il semplice ascolto, usando lo sguardo: leggere lettere, scritti, vedere quadri, osservare paesaggi, serve ad aiutare la nostra mente a comprendere e immaginare ciò che questa vuole dirci. Potremmo trovarci dall’altra parte del mondo senza dover prendere un aereo, o avere rivelazioni su noi stessi che non avremmo mai immaginato.

Vi invito a fare un esperimento:
ascoltate il piccolo estratto sul secondo Intermezzo dell’op.118 eseguito dal pianista Aldo Ciccolini, poi leggete queste lettere e riascoltate nuovamente questo capolavoro.


Fonti:
Clara Wieck Schumann, Lettere, Diari, Ricordi ‘Appartenere alla mia arte con anima e corpo’, Zecchini Editore, MMXV
Albert Dietrich, Il giovane Brahms. Lettere e ricordi., LIM, 1 gennaio 2018

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