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Hegel affermava nella sua dialettica signore-servo (Herrschaft und Knechtschaft), ripresa successivamente da Marx, che per avere una lotta di classe servono due classi sociali in contrapposizione tra di loro. Ma se la nostra controparte oggi-giorno è il mercato, contro cosa combattiamo?

Ci si chiede come si può godere dei benefici del capitalismo di mercato ma allo stesso tempo continuare a perseguire gli obiettivi di una società giusta?

Dalla nascita del mondo industriale ad oggi, l’economia globale si muove con un ritmo sempre più veloce ed incalzante, trainando e trasformando con sé ogni aspetto della nostra vita sociale. Questa evoluzione, per quanto sia stata in grado di apportare grossi benefici, sta gradualmente mostrando le sue fragilità.

In questa sede si cerca di analizzare l’effetto della globalizzazione nel XXI secolo, confrontandolo con altri modelli di sviluppo – fra i quali uno sostenibile – che rendono possibile una crescita alternativa. Il confronto con questi due modelli di sviluppo deriva dalla necessità di dare spazio a nuove forme di organizzazione dell’economia e della società contemporanea.

Jean-Baptiste Say ha codificato la legge secondo cui la felicità è proporzionale alla quantità di consumo. Si tratta dell’impostazione economicista e modernista per eccellenza, che trova già fondamento in Thomas Hobbes quando annuncia compiaciuto l’hybris, la dismisura più tipica dell’uomo occidentale:

La felicità di questa vita non consiste nel riposo di una mente soddisfatta ma di un continuo progredire del desiderio da un oggetto a un altro, non essendo il conseguimento del primo che la via verso il seguente.

Tuttavia, già nel 1893, Émile Durkheim studiando l’anomia, ovvero le situazioni derivanti da mancanza di norme sociali, osservava che «il numero di alcuni fenomeni morbosi  suicidi e crimini  sembra crescere di pari passo con lo sviluppo delle arti, delle scienze, dell’industria». In antitesi, dunque, con il pensiero dei primi due autori sopracitati, nella nostra società contemporanea tutto sembra condurci ad un alto livello di armonia e realizzazione di tutti gli esseri viventi. Nonostante l’umanità dimostri di aver raggiunto il più alto grado di sviluppo scientifico e tecnologico dell’intera storia, due secoli fa – all’inizio di quella che si chiama Rivoluzione industriale – tanti uomini e donne come noi guardandosi tra di loro smarriti rischiarono, pagandone certo i prezzi, per costruire quell’insieme di diritti e di libertà… che oggi noi stupidamente ci stiamo facendo rubare. Di giorno in giorno, sempre di più!

In un mondo dove gli spazi economici e personali sono interconnessi più che mai, il fenomeno della globalizzazione ha trasformato complessivamente la nostra realtà contemporanea. Le trasformazioni dell’economia globale e la grande importanza attribuita al Pil stanno riducendo a brandelli il nostro ecosistema e i suoi abitanti. Uno dei paradossi, oggi-giorno, è la difficoltà nel raggiungere un equilibrio tra vita lavorativa e un’armoniosa esistenza, in quanto la logica della nuova economia induce a occuparsi sempre più del lavoro e sempre meno della vita individuale. Questa miseria culturale alla quale andiamo sempre più incontro viene alimentata e aggravata dalla pubblicità – un mezzo studiato per renderci scontenti di ciò che abbiamo e farci desiderare ciò che non abbiamo. Se, come affermava Platone, anche i muri delle città educano i cittadini, a cosa possono educare i muri delle nostre città e delle nostre periferie? Senza alcun dubbio a essere dei consumatori e utenti frustrati nella migliore delle ipotesi, oppure dei ribelli, nella peggiore. Il saggio «No Logo» di Naomi Klein analizza come il mondo nelle mani delle multinazionali ha reso la nostra società schiava di falsi miti e bisogni di cui non si ha necessità. L’indagine e l’inchiesta di cui la Klein si è resa protagonista mette in risalto l’ondata di manifestazioni e contestazioni che sono nate in tutto il mondo a partire dagli anni Novanta contro lo strapotere dei marchi. La battaglia del movimento no-global rappresentò così una scossa per tutto l’Occidente, avendo come fine quello di inaugurare un’alternativa socioeconomica alle tesi neoliberiste osannate per anni. Diviene in questo modo vitale la lotta contro l’esigenza delle aziende di affermare l’identità del proprio marchio all’interno dello spazio pubblico e privato: con lo spazio all’interno di istituzioni come le scuole, con le identità dei giovani, con il concetto di nazionalità, con l’esistenza stessa di spazi non commercializzati. La pubblicità si è così trasformata da semplice informatrice dell’esistenza di prodotti a valorizzatrice di marchi, assoggettando la cultura stessa.

Dalla fine della guerra fredda, e più precisamente dagli anni Ottanta, le politiche di deregolamentazione e privatizzazione hanno fortemente intaccato il settore pubblico, riducendolo gradualmente all’osso. La nuova crisi economica e sociale, causata dalla diffusione del Covid-19, ha avuto come effetto il rafforzamento degli ideali di una parte della società civile e un risveglio, seppur minimo, della coscienza collettiva. Ciò che viene auspicato è la necessità di una decrescita che muove la ricerca di un altro modello di sviluppo che possa colmare questa marginalizzazione a cui una fetta sempre più importante della popolazione mondiale sta andando incontro. Secondo il rapporto Bruntland (realizzato dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo) lo Sviluppo Sostenibile è «una forma di sviluppo che permette di soddisfare i bisogni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro». In altri termini, «un processo di cambiamento attraverso il quale lo sfruttamento delle risorse, l’orientamento degli investimenti, i cambiamenti tecnici e istituzionali sono in armonia tra loro». Questa rivoluzione, che ancora stenta a realizzarsi a livello mondiale, è la conferma che Marx aveva ragione quando affermava:

I singoli individui formano una classe in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l’uno contro l’altro come merci nella concorrenza.

In un mondo dove le dipendenze sono così strette, uno sconvolgimento o cambiamento in ciascuna di queste catene produce modifiche in tutto il resto del sistema. La dimostrazione di questi eventi a catena è stata il Covid-19, che ha messo in evidenza come la sicurezza e la prosperità in casa dipendono da eventi che accadono altrove. Nonostante la pandemia abbia intaccato il funzionamento del sistema socio-economico, non bisogna accantonare le discussioni sull’ambiente e sull’emergenza climatica. Sebbene l’Unione Europea sostenga in prima linea l’azione per il clima (European Green Deal), da sola non può invertire gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Lo sfruttamento delle risorse naturali e i relativi effetti ambientali della produzione di massa e della globalizzazione possono portare a cambiamenti sconvolgenti, inclusa la creazione di un ambiente che può portare a pandemie globali come quella a cui stiamo assistendo oggi. Allo stesso modo, i leader transatlantici dovrebbero inquadrare il cambiamento climatico come un problema di sicurezza, che aumenta la probabilità di instabilità del governo e di escalation militare, con effetti a catena in tutto il mondo.

Il summit del 10 e 11 dicembre 2018 tenutosi a Marrakech, in Marocco, per adottare il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (Gcm) è stato il primo accordo delle Nazioni Unite su un approccio comune alla migrazione internazionale, alla ventiquattresima conferenza delle parti delle United Nations framework convention on climate change”(Cop24 Unfccc). Nonostante l’Italia come altri sei Paesi non abbia ancora assunto una posizione ufficiale e non fu nemmeno presente in quella occasione, sono state presentate le raccomandazioni della Task Force sul dislocamento che puntano ad aiutare i Paesi a far fronte ai profughi degli impatti dei cambiamenti climatici. A differenza dell’accordo di Parigi del 2015 dove l’obiettivo era trovare un’intesa globale sul ‘cosa’, a Marrakesh si è invece discusso del ‘come’.

Ciò che non può mancare è una presa di coscienza, istituzionale e collettiva, fondamentale per l’approvazione di leggi e di strategie nazionali che potrà concretizzarsi se si ha una visione a lungo periodo: un nuovo modello economico, fondato sul rispetto della biodiversità e sulla lotta al cambiamento climatico, da non dimenticare in questa emergenza pandemica/sanitaria mondiale.


Fonti:
Latouche S., La scommessa della decrescita, Milano, Serie Bianca, 2007
Klein N., NO LOGO, BUR Biblioteca Univ. Milano, Rizzoli, 2010
https://www.isprambiente.gov.it/files/agenda21/1987-rapporto-brundtland.pdf 
https://www.greenreport.it/news/clima/la-cop24-unfccc-e-i-migranti-climatici-prima-del-summit-onu-sulle-migrazioni-a-marrakech-video/ 

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