Ogni volta che apriamo gli occhi entrano in gioco miliardi di sinapsi e di neuroni che costruiscono la nostra percezione della realtà, del mondo che ci circonda. Per fare ciò, un terzo della corteccia cerebrale è coinvolta; il nostro cervello infatti non deve limitarsi a ‘girare un video’ come una telecamera.
Ad oggi, è impossibile affermare che un mondo tridimensionale uguale a quello che vediamo esista anche quando nessuno guarda, perché quello che vediamo non è altro che il prodotto finale di un calcolo complesso attuato dalle nostre sinapsi, che ci forniscono un’immagine grazie all’elaborazione dei fotoni catturati dai nostri fotorecettori. Per questo Crick, neuroscienziato britannico, affermava che «vedere è un processo attivo e interpretativo […] e ciò che vediamo è una rappresentazione simbolica del mondo»[1].
I filosofi da sempre discutono del rapporto tra percezione e realtà: pensiamo che Platone, nel mito della caverna, paragona la nostra percezione della realtà a delle ombre proiettate sulle pareti di una caverna, mentre Kant distingue la ‘cosa in sé’, che è inconoscibile, dalla sua apparenza qualitativa. Il biologo Jacob von Uexküll, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, pubblica il suo capolavoro intitolato Biologia teoretica, nel quale afferma che tutti i viventi sono modi d’essere specifici, e che si distinguono per il diverso modo in cui organizzano la realtà a partire da se stessi; non vi è una realtà dominante creata da un individuo (o da una specie) che viene subita da tutti gli altri.
Donald Hoffman, famoso psicologo cognitivo americano, ricorre a una Teoria dell’interfaccia percettiva (TIP) in chiave evolutiva, secondo la quale quello che percepiamo attraverso i nostri sensi, e quindi quello che vediamo, non è la realtà oggettiva. Le nostre percezioni sono fuorvianti da essa, ma allo stesso tempo sono utili e sono delle guide affidabili per muoverci nel mondo, senza cadere da un dirupo.

Ma se i nostri sensi non rappresentano la realtà, come possono esserci utili?
Egli utilizza una metafora, paragonando i nostri sensi all’interfaccia di un desktop: lo spazio come lo percepiamo è il nostro desktop tridimensionale e gli oggetti fisici non sono che icone di quest’ultimo. Secondo Hoffmann, l’evoluzione ci ha dotato di sensi che nascondono la verità – in questo caso circuiti e organizzazione dei software – e ci mostrano delle icone semplici che ci permettono di semplificare la realtà e di sopravvivere. Ciò non vuol dire che i nostri sensi non siano affidabili e veritieri, anzi, dobbiamo prenderli sul serio, ma non alla lettera.
Tutto ciò non appare così strano se pensiamo che i fisici affermano che la luce visibile è solo una piccolissima porzione rispetto all’ampio spettro elettromagnetico esistente in Natura, e molti animali sono in grado di fare cose sensazionali: gli uccelli e le api «vedono» l’ultravioletto, questa capacità permette loro di ottenere contrasti nitidi dai riflessi sulla superficie superiore e inferiore delle foglie; gli squali riescono a rilevare i campi elettrici delle loro prede, tramite una serie di organi detti Ampolle di Lorenzini; gli elefanti propagano, attraverso l’aria, gli infrasuoni emessi dai loro barriti; i crotali vedono la luce infrarossa, per non parlare delle cicale di mare che possiedono gli occhi più complessi di tutto il regno animale, ossia ben dodici tipi di fotorecettori, ognuno in grado di percepire una ristretta gamma di lunghezze d’onda che vanno dall’ultravioletto all’infrarosso.

Ebbene, l’evoluzione ci ha portati a vedere il mondo nelle ‘giuste frequenze’, ma come ci apparirebbe il mondo se prendessimo la famosa ‘pillola rossa’ di Morpheus?
Il biologo e filosofo estone Jacob von Uexküll scriveva:
Il ruolo che la Natura gioca come oggetto di mondi di scienziati diversi è altamente contraddittorio. Se si cerca di combinare le sue qualità oggettive ne deriverebbe il caos. Eppure tutte questi diversi Umwelten (ambienti) sono ospitati e supportati da colui che rimane per sempre escluso da tutti gli ambienti. Dietro tutti i mondi creati da lui, giace nascosto, eternamente al di là della portata della conoscenza, il soggetto: la Natura.[2]
Fonti:
[1] F. Crick, The Astonishing Hypotesis, Scribner, New York, 1994
[2] Jakob von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani, Quodlibet, 2010
Donald Hoffman, L’illusione della realtà, Bollati Boringhieri, 2020