Skip to main content

Ruota tutto intorno a una nuova idea di reazione e soprattutto di rivoluzione. Germano Celant parla dell’Arte Povera come di un’azione povera sottolineando il senso eteronomo dell’attività artistica come di una «possibile strategia socio-culturale, in cui processo eversivo e gnoseologia giungono alla frantumazione del sistema di dittatura industriale». L’arte si trasforma in un teatro di azioni povere non strumentalizzabili, in cui l’eteronomia dell’arte è la sua vera povertà.

La storia dell’arte insegna che all’atto creativo ogni autore si è sempre approcciato in qualche misura reagendo, condizionato dal contesto sociale del suo tempo.

Nell’era della contemporaneità, l’Arte Povera può essere considerata uno dei movimenti che ha fondato la propria ragion d’essere proprio sul principio di reazione. A mettere in luce questo nuovo modo di vedere e pensare è stata la Galleria de’ Foscherari di Bologna, nel febbraio del 1968, con l’inaugurazione della seconda mostra a livello mondiale dedicata a un linguaggio espressivo teorizzato dal noto critico Germano Celant, purtroppo scomparso lo scorso anno. Per Arte Povera si ritrovarono Gilberto Zorio, Alighiero Boetti, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Luciano Fabro, Giovanni Anselmo, Emilio Prini, Gianni Piacentino e Mario Ceroli. Un evento che fornì l’occasione di un dibattito fra i più importanti e partecipati, a cura di Pietro Bonfiglioli.

Di quel tempo di contestazione, dal maggio parigino agli scontri tra studenti e polizia a Valle Giulia a Roma, alle piazze d’Europa e in America occupate da rivolte pacifiste contro la guerra in Vietnam, gli artisti hanno dimostrato una profonda presa di coscienza, facendo propri i valori umani e l’ansia di libertà e giustizia sociale che in quel preciso momento della Storia stava animando specialmente una generazione nuova di studenti e di lavoratori. Si è imposta una nuova visione dell’arte: non più solo estetica ma materiale, non isolata rispetto al contesto sociale, ma anzi capace di interagire provocatoriamente con esso.

Provare oggi a rivisitare l’esposizione alla de’ Foscherari, a mezzo secolo di distanza da quell’evento, può aiutare a mettere a fuoco quella stessa ansia di reazione, ma soprattutto di rivoluzione, che sembra animare più di una scena figurativa del nostro tempo; la stessa che in Pistoletto si faceva riconoscere con gli specchi con l’intento di ricreare fenomenologicamente noi e il nostro io.

La realtà si fa dunque strada nello specchio e diventa la prima possibilità di reazione per stabilire un rapporto univoco tra l’arte e la vita. Il mondo non è più un modello da seguire e sente quindi l’esigenza di farsi coinvolgere esclusivamente dal suo movimento presente, creando opere senza un’aspettativa codificata. Con Ipotesi sullo spazio totale, Prini si crea una propria area – vuota, firmando la stanza di una galleria e appropriandosi del contenitore. Ritroviamo una serie di punti e di proiezioni plastico-volumetriche della sua percezione.

Emilio Prini Ipotesi sullo spazio totale Courtesy Galleria de’ Foscherari

Si parla di una reazione mentale, dove l’idea diventa molto più importante del manufatto e rende la presenza fisica dell’opera un motivo scatenante di movimento, di pensiero negli spettatori, trasmettono in tutto e per tutto la loro voglia di inventare e sperimentare.

A seguire c’è Paolini, che con le bandiere, le tele, i quadri, racconta la sua ricerca personale improntata sull’analisi dei fondamenti costitutivi della creazione artistica; con Merz, la luce al neon da medium dissociante passa a elemento segnico associante, creando insiemi di lavori formati da bottiglia, giglio, bicchiere, meccanismo, neon, oppure bottiglia, tubo, plexiglas, neon, assemblaggi autonomi senza una particolare storia, volti a rappresentare la sua visione del mondo. Ceroli, invece, abbraccia la scultura (il legno è il suo materiale) portandola in scena come manifestazione macroscopica di una sua libertà inventiva e poetica. Si parla ancora di autonomia con Piacentino, con le sue composizioni difficili da collocare, sfuggevoli ed essenziali. Kounellis dalla pittura passa a un’idea di libertà dell’uomo e delle cose, e così anche Fabro, che si mostra libero dall’esterno, concentrandosi su nuove suggestioni mentali per l’artista e per il visitatore, grazie a materiali figurativi coinvolgenti.

Si appoggiano reagendo a nuovi contenuti e c’è la necessità di un’arte non statica ma performativa. L’Arte Povera si mostra, dunque, come materia vitale e in continuo divenire. Prende forma grazie alle energie degli artisti, rendendo invisibile ma percepibile la loro essenza. Anche Boetti affida il lavoro allo spettatore, vuole che la viva; nell’opera Pietre e lamiere, ad esempio, usa materiali «che ostentano solo il loro ‘farsi’», per denotare lo stupore di ogni azione inventata o reperita nuovamente per la prima volta, quale il taglio, l’incastro, l’accumulo, la creazione dei segni associativi, la scoperta di una decorazione già «in natura».

Alighiero Boetti Pietre e lamiere Courtesy Galleria de’ Foscherari

Imprevedibilità, reazione, espressività, ciò che mostra Zorio. A lui dell’immagine interessa la forza dei materiali e la possibilità di combinazione che crea positive conflittualità e tensioni piene di energia. Infine, con Anselmo scopriamo opere mutabili, che si formano nell’istante in cui vengono montate e che mirano ad una corrispondenza tra forze equivalenti, quali l’uomo e la natura, giungendo così ad un grado elevatissimo di concentrazione.

Una mostra che si conclude con l’inizio di un cambiamento che prosegue tutt’oggi, in cui le installazioni diventano finalmente attive con lo spettatore.


Fonti:
Vittorio Boarini, Il notiziario della Galleria de’ Foscherari 1965-1989, Galleria de’ Foscherari, 2019.
Pietro Bonfiglioli, Arte Povera quaderno n 1 Ed Galleria de’ Foscherari, Presentazione di un dibattito, 1968.
De’ Foscherari www.defoscherari.com
Giulio Paolini, in Castello di Rivoli
09 – ARTE POVERA – L’estetica dell’ordinario – Germano Celant
Foto copertina: Inaugurazione della mostra Arte Povera, 1968, Galleria de’ Foscherari. Courtesy Galleria de’ Foscherari

Leave a Reply