#Palinvisita la Portineria – progetti arte contemporanea, uno spazio no profit nato nel 2020 a Firenze, che ospita mostre e progetti di artisti di differenti generazioni, nazionali ed internazionali.
[In collaborazione con Gabriele Pantaleo, Laureato in storia dell’Arte e valorizzazione del patrimonio artistico]Matteo Innocenti è curatore indipendente e direttore de La Portineria – progetti arte contemporanea, uno spazio no profit nato nel 2020 a Firenze, che ospita mostre e progetti di artisti di differenti generazioni, nazionali ed internazionali. Il progetto nasce dalla metamorfosi di un luogo chiuso, la portineria di un palazzo residenziale, in un luogo aperto che accoglie gli sguardi e la presenza dei visitatori incuriositi.
Annalisa Foglia ci porta alla scoperta di questo luogo dell’arte attraverso proprio le parole del direttore.

Qual è stata la risposta del quartiere e dei residenti alla presenza de La Portineria?
Nella mia ricerca curatoriale il rapporto con le persone è fondamentale. Si è riscontrato negli ultimi anni un distacco tra ciò che è l’interesse culturale generalizzato e l’arte contemporanea. Non mi riferisco ovviamente agli artisti noti a livello internazionale. Credo si debba uscire un po’ dalla retorica per la quale fare qualcosa in un luogo che sia vissuto dalle persone significhi necessariamente innescare un rapporto con esse. Nelle mie precedenti esperienze di residenze artistiche, ho notato che creare un rapporto è un’attività che richiede molto tempo. Si passa da una prima fase di minima percezione, poi c’è una fase di incuriosimento, che ha in sé anche un certo sospetto e poi via via questo rapporto si scioglie. É lì che si raggiunge l’essenza e la bellezza del rapporto perché vedi che le persone iniziano a interessarsi.
Per quel che riguarda la mia visione personale ci tengo a dire che non si tratta di una educazione del pubblico: bisogna stare molto attenti ad usare questo termine perché si potrebbe portare dietro una concezione della cultura come colonizzazione. Si tratta di un rapporto paritetico.
Alla luce di questo posso dire, per quel che riguarda La Portineria, che il rapporto si è avviato. Ci sono stati degli episodi positivi: la portineria era in uno stato di semiabbandono, non veniva utilizzata ed era chiusa da una grata scura. Il fatto che sia tornata ad essere una vetrina ha colpito subito le persone che vivono qui da tempo. Quando ci sono state le mostre, si è percepito che la gente era curiosa, guardava all’interno, anche con espressioni un po’ perplesse. Qualche settimana fa ho trovato un bigliettino: «complimenti le mostre che fate sono sempre interessanti». É un seme, vediamo nel futuro che forma prenderà.
Qual è il ruolo del curatore nel rapporto tra arte e pubblico?
La figura, anzi la funzione del curatore, io la vedo come mediazione. Non mi piace granchè una certa attitudine curatoriale, ormai ‘dominante’, che si sviluppa su mostre tematiche. Di frequente ho la sensazione che ci sia una forzatura rispetto alla natura delle opere, affinché queste possano concorrere al concetto che il curatore intende esprimere. Per me l’attività di mediazione è quella di creare l’occasione affinché l’artista possa realizzare ed esibire un proprio progetto. Quindi il curatore credo debba essere molto presente nella fase di elaborazione della mostra, approfondendo anche il rapporto con l’artista. Poi c’è l’aspetto sostanziale del racconto che è tra le opere e il pubblico, in cui il curatore viene un po’ meno.
In che modo si comunica l’arte contemporanea?
É una questione complessa. In breve posso dire che, per quanto riguarda il linguaggio, credo ci sia stato negli anni un abuso di una sua certa complessità: è diventato una sorta di apparato che riesce effettivamente a comunicare poco. Io penso che oggi ci sia la necessità di ri-interrogare il linguaggio tenendo in considerazione tutti i cambiamenti che ci sono stati nella società. La semplificazione, nella mia esperienza personale, serve anche per avere le idee chiare rispetto a ciò che si vuole dire. Dal punto di vista del metodo, il curatore d’arte, se è uno storico dell’arte contemporanea, si concentra sulle fonti che sono gli artisti stessi.
Nel tuo percorso hai avuto a che fare con molti giovani artisti. In che direzione si muove la giovane arte contemporanea?
É difficile individuare delle ricorrenze concettuali nei giovani artisti, è invece più frequente trovare delle ricorrenze stilistiche. Queste a volte sono un buon segno perchè vuol dire che c’è qualcosa che si sente, che ribolle nella società e che quindi prende forma. A volte può essere un indizio negativo però, perché potrebbe significare seguire un trend, qualcosa che possa essere facilmente riconosciuto come giovane arte contemporanea. Siamo in un momento in cui riuscire ad avere capacità di lettura del presente è un’impresa molto ardua così come avere un punto di vista che non risulti didascalico o retorico. I giovani artisti stanno iniziando ora a riflettere. É un percorso lungo. Se andiamo a vedere le generazioni precedenti di artisti come Pollock o De Kooning scopriamo che avevano 40 anni se non di più quando hanno raggiunto una certa maturità e un loro stile. É un bene che i giovani possano sperimentare senza sentire troppo la responsabilità di dover restituire una rappresentazione già complessiva. Personalmente ho avuto tante belle esperienze con giovani artisti che vogliono guardarsi intorno.
Quali sono secondo te le caratteristiche peculiari de La Portineria? C’è qualcosa che volevi dare agli artisti in particolare?
Rispetto al processo di costruzione delle mostre c’è la particolarità, non solo de La Portineria, di non partire mai con qualcosa di predeterminato e di non darsi nessun tipo di limite, se non quello del budget. Questo è uno spazio no profit e non riusciamo a fare grandi produzioni. Ma direi che la possibilità di sperimentazione e una certa libertà creativa sono alcuni tra gli scopi dello spazio.
Inoltre si tratta di uno spazio particolare, non è un white cube né uno spazio con grandi metrature. Questo è un elemento importante che può contribuire in termini di formazione nel caso degli artisti più giovani. Molti ragazzi, durante il loro percorso di studi, si concentrano maggiormente sulla realizzazione dell’opera; una volta terminata sembra che il percorso possa dirsi concluso. Invece comincia qualcos’altro: far vivere l’opera nello spazio. Scegliere una soluzione installativa invece che un’altra, cambia molto pertanto credo sia fondamentale per gli artisti riuscire a confrontarsi e a sentire la responsabilità dello spazio.
Palin Magazine affronta il tema della metamorfosi. In zoologia è definita come «l’insieme dei cambiamenti morfologici e fisiologici, implicanti un diverso rapporto dell’organismo con l’ambiente». Quanto il lavoro dell’arte deve cambiare, mutarsi per affrontare il contesto socio-economico dell’ambiente che ci circonda?
La metamorfosi è qualcosa che riguarda profondamente l’arte e tutte le figure che sono coinvolte all’interno del sistema artistico; l’arte non può rimanere mai fissa. Forse l’aspetto per cui l’arte contemporanea a volte sembra così strana deriva dal fatto che è qualcosa in eterna metamorfosi, è qualcosa che non ti aspetti.
Una parte del sistema dell’arte spinge molto sulla professionalizzazione dell’artista e del curatore, mentre dall’altra parte c’è chi riflette sul fatto che entrare nelle dinamiche legate al lavoro, può voler dire limitare in certa misura l’arte stessa. Non credo che ci siano risposte nè definitive e neanche troppo generalizzabili.
Un’impressione personale: forse paradossalmente abbiamo una proposta troppo ricca di eventi legati all’arte contemporanea e questo già prima della pandemia. Ciò non vuol dire che ci deve essere meno arte o meno cultura. Vuol dire che converrebbe dedicarsi agli eventi d’arte in maniera più meditata. La pandemia ci ha fatto vedere che è possibile anche rallentare, ci ha messi in contatto con un altro ritmo. In generale si potrebbe lavorare per un apparato economico più regolare, ad esempio puntando ad un mercato dell’arte dei giovani artisti. E pagare sempre il lavoro culturale: questo è un problema italiano profondo. La pandemia ha sottolineato tutto ciò e difatti varie associazioni di artisti e persone che lavorano nel mondo dell’arte si sono costituiti come collettivi per fare delle rivendicazioni in tal senso.

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