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Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽, ‘Dunque, per primo fu il Chaos’. Così si apre la Teogonia di Esiodo, uno dei più antichi poemi mitologici sull’origine del mondo. Una ‘voragine oscura’ che racchiude tutto l’universo, che solo in seguito ha acquisito il significato di ‘disordine’, ‘confusione’, ‘turbamento’, e alla quale molti scrittori hanno cercato di un senso, un ordine.

C’è stato un momento nella Storia in cui la vita era percepita come decadente, incerta e caotica. Siamo nel XX secolo, è appena passata la Prima Guerra Mondiale, il primo grande conflitto, che ha generato ulteriore disordine negli assetti politici, economici e soprattutto sociali.

Nulla sembra più così certo, la sicurezza del secolo precedente nella scienza, nella religione è stata spazzata via a suon di armi da fuoco. Scienziati e filosofi hanno distrutto il caro e prevedibile universo di ottimismo. Tra questi, uno dei primi fu Sigmund Freud, che dimostrò come le azioni dell’essere umano sono motivate da forze irrazionali inconsce, nonché dal complesso edipico insito in ogni bambino, eterno rivale del padre nel possesso della madre.
Nietzsche intanto predicava la morte di Dio.

I concetti di spazio e tempo sono stati scardinati da Albert Einstein nell’ambito scientifico, contemporaneamente dal filosofo William James e il francese Henri Bergson. James sostiene che la nostra mente è un flusso continuo di pensieri, come un fiume o un ruscello; Bergson distingue un tempo storico, lineare, esterno, e un tempo psicologico, interno, che si misura attraverso l’intensità di un singolo momento.

Un singolo momento che può cambiare tutto. Tutti loro hanno provato a dare un senso al caos dell’esistenza attraverso metafore, miti, allusioni. Ma un solo artista è riuscito nell’impresa di imbrigliare la realtà con tutte le sue sfumature più caotiche, seppur di un solo giorno: l’irlandese James Joyce.

Secondo il principio Newtoniano, a ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria ma la nostra realtà, come abbiamo visto in precedenza, non è uniforme e lineare come un moto rettilineo, ma vi possono essere numerose variabili imprevedibili. Di questo tratta il famoso ‘effetto farfalla’ del meteorologo Edward Lorenz che, nel suo ‘Predictability: does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?’ del 1972, usa un banalissimo battito d’ali di una farfalla in Brasile come esempio di un piccolo cambiamento delle condizioni iniziali di un sistema e le sue conseguenze su larga scala.

Abbiamo quindi un sistema lineare che viene ‘disturbato’ diventando un sistema non-lineare. Ulysses di James Joyce incarna la realtà complessa interpretata dalla Teoria del caos, sia nel suo aspetto narratologico che nel suo contenuto.

Dopo un tipo di narrativa che strizza l’occhio alla linearità di un racconto classico e sequenziale, Joyce attua una vera e propria rivoluzione. In Ulysses i fatti appaiono confusi, mai visti dall’alto ma esplorati da diversi punti di vista in maniera frammentaria: non esiste più il ‘Dio-autore’ onnisciente che aveva dominato l’epoca vittoriana inglese, ma solo eventi esposti tramite indizi che nemmeno il più attento lettore riuscirebbe a decifrare. Lo stile riflette appieno la caoticità del mondo reale: sfrutta lo stream of consciousness per descrivere le proiezioni psicologiche dei personaggi in un flusso continuo di parole senza punteggiatura o l’utilizzo di connettori testuali. Sulla struttura del romanzo, Joyce fa uso del mythical method, una tecnica per dare ‘ordine’ tramite una sovrastruttura più familiare, mitologica: il mito di Omero viene qui usato non per trasmettere solennità al romanzo, bensì per aumentare sempre più la distanza fra un passato aureo e una contemporaneità volgare, triviale, governata da anti-eroi. L’incontro tra i due personaggi, Stephen Dedalus (il cognome è emblema stesso del caos) e Leopold Bloom può essere visto come una sorta di imprevisto simbolico all’interno di un sistema ordinato. L’incontro tra due mondi opposti, quello della ragione, seppur inetta, di Stephen, e quello della corporeità di Leopold, confluiranno in una vera e propria Odissea con la magnifica città di Dublino come sfondo.

Provare a dare ordine al caos. E’ quello che l’essere umano prova a fare da sempre. Che James Joyce ci sia riuscito?


Fonti:

Thomas Jackson Rice, Ulysses, Chaos, and Complexity, James Joyce Quarterly , Winter, 1994, Vol. 31, No. 2 (Winter, 1994), pp. 41-54, University of Tulsa, 1994.

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